Politica

Assolto Salvini nel processo Open Arms:"Difendere la Patria non è reato"

Per i giudici il fatto non sussiste

di Francesco Nicolò - 21 dicembre 2024 08:52

In attesa del deposito della sentenza, il Governo può esultare sull'esito del processo che ha visto coinvolto il ministro delle Infrastrutture Salvini, al tempo dei fatti ministro degli Interni nel governo Lega-5Stelle. 

Questione finita nelle cronache internazionali per la presunta violazione della libertà dei migranti detenuti a bordo della nave della ONG Open Arms posta sotto sequestro dal governo per presunta facilitazione della migrazione illegale attraverso il meccanismo del salvataggio in mare. 

La storia risale ad agosto del 2019, fu impedito da Salvini, allora a capo del Viminale, l'ingresso nelle acque italiane e lo sbarco di 147 migranti soccorsi in mare. Un divieto illegittimo, secondo la Procura di Palermo prima, poi secondo il tribunale dei Ministri, che nella condotta del politico ha ravvisato due reati e la violazione del diritto interno e internazionale. Sei anni di carcere la condanna chiesta dall'aggiunta Marzia Sabella e dai pm Gery Ferrara e Giorgia Righi.

La vicenda ebbe inizio dopo il recupero di 124 migranti in acque Sar libiche da parte della ong catalana. L'equipaggio chiede all'Italia e a Malta l'assegnazione di un porto sicuro: come risposta, dall'Isola dei Cavalieri riceve un fermo no e da Salvini arriva un decreto di divieto di ingresso in acque italiane. Una decisione, quella del Viminale, presa in virtù dei cosiddetti decreti sicurezza, cavalli di battaglia della linea politica del ministro leghista. Inizia un il braccio di ferro tra l'allora governo giallo-verde, Open Arms con il coinvolgimento delle istituzioni europee, in cui il paese richiede che tutti gli Stati membri si facciano carico della questione migranti e non solo all'Italia come porta principale d'ingresso. I solleciti della ong finiscono per mettere in discussione la responsabilità delle ONG battenti bandiera di Stati membri ( Spagna, Germania, Olanda) nel favorire l'immigrazione clandestina con presunti segnali tra i barconi dei migranti. Fu anche l'allora presidente del consiglio Di Maio ad  illustrare il tracciato della nave che pareva effettuare viaggi andata ritorno in coincidenza con i barconi.

L'ONG torna a sollecitare l'assegnazione del porto nel silenzio del ministero, che non considera l'Italia il primo porto sicuro. Intanto la situazione a bordo  è gestita dal ministero degli interni con assistenza e forniture alimentari e sanitari direttamente a bordo, senza tuttavia concedere l'attracco. L'Ong che spinge allo sbarco dei migranti ed accusa il peggioramento di giorno in giorno: denunciando le precarie condizioni igienico-sanitarie in cui si trovano i profughi. Dopo il ricorso di Open Arms, il tribunale di Palermo decide lo sbarco.

In pieno scontro col ministro Salvini la ONG compie un terzo salvataggio in mare. Si arriva così a metà agosto quando Open Arms sceglie la strada giudiziaria e ricorre al Tar del Lazio.

Il presidente dei giudici amministrativi risponde a stretto giro e sospende il provvedimento di Salvini. Sotto l'onda mediatica internazionale, l'esecutivo scricchiola e Salvini resta solo a sostenere la linea del rigore. Lo stallo cessa il 20 agosto quando l'allora procuratore di Agrigento Luigi Patronaggio sale sulla nave per accertare le condizioni fisiche e psichiche dei profughi e decide il sequestro dell'imbarcazione.

Per molti, questo processo non sarebbe mai dovuto nascere, per un reato contestato (sequestro di persona) abnorme rispetto ai fatti. Nessuno ha trattenuto la Open Arms in rada per 20 giorni. La Ong ha scelto volontariamente di approdare solo in Italia, rifiutando le alternative. Certo è che anche la Open Arms ha la responsabilità di aver trattenuto i migranti utilizzati come scudo per provare a sfondare il blocco dei porti imposto dal governo giallo-verde. Se  la linea dura è certamente censurabile a livello politico, ciò non vale sotto il profilo legale, rimane comunque aperta la questione di chi deve avere titolo a pattugliare i confini europei e quanto le ONG si debbano sostituire alle autorità preposte la salvataggio in mare dei naviganti per non essere i paesi vittime di attività prevalentemente politiche mascherate da bandiere umanitarie.