Politica

Rigenerazione Urbana: una parodia tra quartieri malsani e comparse tirate a lucido

Come nel teatro tragicomico di Edoardo Scarpetta: miseria e nobiltà s'incontrano

di Francesco Nicolò - 22 luglio 2025 08:30

In questi giorni si è assistito ad un evento spettacolo di rigenerazione urbana. Le case popolari degli anni 50 di San Brunello, demolite e ricostruite negli anni 90 e ribattezzate Complesso Popolare di Vico Neforo, in questi giorni hanno ricevuto un nuovo battezzo: "Parco Primavera". L'intervento di circa 2milioni di euro, è stato caratterizzato dalla ristrutturazione delle parti comuni: viabilità, campetto, aree di sosta, arredo urbano. Tutti interventi necessari a garantire la fruizione degli spazi.

La ridenominazione tuttavia, appare in prima battuta come un tentativo di alleggerire la percezione di marginalità. Questa operazione, per quanto animata da buone intenzioni, rischia di tralasciare la realtà sociale e materiale degli abitanti: un nome nuovo non cambia le condizioni abitative, il valore immobiliare o la qualità dei servizi. 

Dal 2019 la necessità di riqualificare lo spazio era già stato un tema, inascoltato, sollevato dal Comitato di Quartiere Santa Caterina San Brunello che ha aderito alla Rete dei Comitati,  per spingere l'amministrazione ad elaborare una norma di legittimazione legislativa di partecipazione popolare come previsto dalle leggi e statuto comunale. L'assenza di coinvolgimento del  Comitato Santa Caterina San Brunello, è un segnale inequivocabile del disinteresse e del timore dell'amministrazione alla partecipazione popolare nonché di un regolamento per il quale non c'è evidente volontà di realizzazione. 

Il murales, non necessario, dipinto sulla facciata delle Case Popolari oggi ridenominato residence “Parco Primavera” quasi voler alimentare una falsa l'idea di edilizia residenziale privata del tipo " Parco Cafe", "Parco Fiamma", rappresenta un intervento visivo di forte impatto simbolico. Colorato, narrativo e apparentemente riqualificante, che vorrebbe trasmettere un messaggio di speranza, rinascita e apertura verso un’identità nuova dei quartieri popolari. 

Il messaggio positivo del murale viene disinnescato dalla realtà tangibile circostante: l’arte qui rischia di coprire e negare  il disagio reale.  Il contrasto crea un effetto di “vetrina” distorta, dove si abbellisce una facciata senza affrontare le urgenze strutturali del contesto urbano. 

A pochi metri di distanza insiste un'altro complesso di resistenza popolare. Un'altra area storica mantenuta con garbo dai residenti. Un'area prevalente abitata da oggi cittadini anziani, priva di manutenzione del verde, carente di arredo minimo, un'asilo la cui consegna ha già superato oltre un anno di ritardo e problemi di rete fognaria mai affrontati.

Dall'altro lato del torrente è imbarazzante la visione del murales! La contrapposizione della vista decorativa di un dipinto con lo stato di degrado estremo del dirimpettaio Isolato 50. Un complesso residenziale popolare oggi vetusto, decadente e visibilmente degradato. I residenti sono impotenti,  case popolari in parte vendute per fare cassa, ed abbandonate per l'impossibilità di gestire il pubblico ed il privato.

Uno scenario urbano senza filtri, che mette a nudo la disuguaglianza tra due realtà che dovrebbero essere uguali. Aree  nate con la stessa funzione sociale, ma oggi distanti anni luce nella percezione pubblica.

Il murales sembra qui innalzare un confine simbolico tra “chi merita attenzione” e “chi resta invisibile”. Questa dissonanza visiva non è solo estetica ma è anche politica e sociale.

Si ristruttura la facciata di un edificio e la si celebra con un’opera artistica, ma non si affronta il degrado che convive fianco a fianco. Si costruisce un’immagine “Instagrammabile”, utile per conferenze stampa e comunicati, ma si dimentica la condizione concreta di chi vive sopra e di lato,  che assiste da spettatore impotente alla valorizzazione dell’altrui miseria.

Il murales, in questa prospettiva, non unisce, ma divid; umilia più che celebrare, perché trasforma la vicinanza tra due realtà in una competizione tra decoro e abbandono.

Il fatto che il Comitato non sia stato coinvolto non è un dettaglio burocratico.  È una ferita alla credibilità del progetto di partecipazione, una conferma che l’idea di “cittadinanza attiva” viene praticata a geometria variabile, utile solo quando garantisce applausi.  

Il  messaggio che arriva è chiaro: la partecipazione popolare è benvenuta solo se è allineata, silenziosa, possibilmente festante. Chi solleva dubbi o pone domande viene tenuto fuori.

In questo modo, la partecipazione diventa una vetrina, non un metodo. Un esercizio di facciata, utile alla narrazione istituzionale, ma privo di reale radicamento nel tessuto sociale.

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