Tra diplomazia e tensioni: il fragile cammino verso una pace tra Israele e Hamas
Le mosse di Trump e la “prima fase” del suo piano di pace
di Francesco Nicolò - 10 ottobre 2025 11:00
Negli ultimi giorni, il conflitto tra Israele e Hamas ha registrato un possibile punto di svolta diplomatico, dopo mesi di stallo e nuovi cicli di violenza. Ma mentre si moltiplicano gli appelli, le dichiarazioni e i passi politici — anche di attori esterni — nelle piazze si respira un’aria di forte polarizzazione, con manifestazioni che hanno provocato scontri anche in Italia.
Donald Trump, figura centrale nella ripresa del protagonismo statunitense sul dossier medio orientale, ha fatto sapere che Israele e Hamas avrebbero “acconsentito alla prima fase” del suo piano di pace per Gaza.
L’accordo includerebbe:
• il rilascio di tutti gli ostaggi ancora vivi;
• un ritiro parziale delle truppe israeliane fino a una linea prestabilita;
• una fase iniziale di cessate-il-fuoco e scambio di prigionieri.
Parallelamente, nei giorni precedenti Trump aveva lanciato ultimatum a Hamas, dando al gruppo scadenze rigide per aderire al piano, minacciando conseguenze gravi in caso di rifiuto.
E' importante tuttavia sottolineare che queste dichiarazioni sono e devono essere accolte con cautela : le “fasi” di un accordo sono spesso soggette a molte condizioni, reinterpretazioni e resistenze politiche nonchè mancato rispetto degli accordi e ripresa del conflitto.
Alcuni aspetti — come il disarmo di Hamas, la governabilità di Gaza, la supervisione esterna — restano punti di forte contenzioso.
In questo contesto, le parole di Trump agiscono come elementi catalizzatori: servono a mobilitare appoggi politici, a pressare attori sul terreno e a imprimere un’agenda che influenza trattative e percezioni. Tuttavia, la transizione dalla “prima fase” a una pace stabile è inevitabilmente difficile e piena di ostacoli.
Manifestazioni in Italia: da Roma a Bologna e Torino
Mentre le luci della diplomazia si accendono, anche in Italia si sono registrate manifestazioni, alcune pacifiche, altre sfociate in tensioni, spesso legate al ricordo dell’attacco del 7 ottobre 2023 e alla solidarietà verso la Palestina.
La Freedom Flotilla, una missione dichiarata umanitaria ma anche dichiaratamente di natura politica e sospetta infiltrazione di Hamas, è stata arrestata in acque internazionali e ha stimolato nuove proteste in molte città italiane. Al grido di “Gaza libera” e “bloccare tutto”, migliaia di manifestanti hanno sfilato in varie piazze.
A Roma, in occasione di un corteo per Gaza, si sono registrati scontri in serata tra gruppi di manifestanti e forze dell’ordine, con lanci di oggetti, cassonetti rovesciati e cariche.
Bologna: nei giorni correlati all’anniversario del 7 ottobre, un corteo convocato dai “Giovani Palestinesi” è stato vietato dalla Questura. Nonostante il divieto, alcune centinaia di persone si sono radunate in Piazza del Nettuno. Al tentativo di avanzare tramite Via Rizzoli, le forze dell’ordine hanno risposto con cariche e idranti, generando momenti di tensione e scontri.
Torino: anche qui era vietato un corteo, ma migliaia di manifestanti hanno sfilato ugualmente. Il corteo è partito da Piazza Castello con lo slogan “Il genocidio non è finito, siamo resistenza, continuiamo a bloccare tutto”.
Al di là del mare di Gaza il clima è risultato molto carico e polarizzato.
Manifestazioni che non sono coerenti né omogenee: vi sono gruppi che rivendicano apertamente il 7 ottobre come “giorno di resistenza”, e altri che cercano di marcare la solidarietà umanitaria senza giustificare alcuna violenza. Le autorità italiane, in alcuni casi, hanno cercato di vietare le manifestazioni per motivi di ordine pubblico, generando polemiche sul diritto di espressione e sul rischio di esaltazione di atti violenti come peraltro prevedibile.
La mancata convergenza tra le mosse diplomatiche di attori esterni come Trump, la mobilitazione sociale sul fronte interno (anche in Occidente), e la politica degli Stati occidentali illumina i diversi livelli in cui il conflitto israelo-palestinese si gioca.
Nel panorama attuale tuttavia si apre una finestra diplomatica interessante, alimentata dalle manovre di Trump, con un contesto di forte polarizzazione sociale e politica, in Italia ed in Europa . Se la pace è ancora lontana, il cammino appare oggi più stretto, incerto e soggetto a rotture che si complica con il ruolo che l'ANP ed di Mahmoud Abbas (Abu Mazen) oggi privo di caratura e consenso ma l'unico riconosciuto dalla comunità internazionale.
In uno scenario internazionale sbiadito si collocano I Paesi che oggi riconoscono la Palestina più come atto politico e morale contrario alla linea Trump. È una forma di “diplomazia di opposizione”: non solo solidarietà ai palestinesi, ma anche segnale di indipendenza dall’agenda e dall'attuale governo americano.