La resa alla superficialità
Con queste parole, Falcomatà ha acceso i riflettori su una realtà sempre più difficile da ignorare: la trasformazione della politica in un prodotto da consumo digitale, disegnato per piacere, per stupire, per strappare reazioni rapide e visibilità istantanea. La sostanza, la complessità, l’analisi? Spazzate via. Non funzionano nel formato da trenta secondi. Non fanno numeri.
La politica, che dovrebbe essere il luogo della responsabilità, si lascia sopraffare da una logica infantile e performativa. L’argomentazione viene sostituita dall’effetto speciale, l’impegno amministrativo dall’estetica del post. La classe dirigente si adegua: si improvvisa influencer, mescola indignazione e selfie, utilizza l’ironia come arma di distrazione. L’obiettivo non è più convincere, ma apparire. Non governare, ma ottenere esposizione.
Una degenerazione culturale
Questa deriva non è solo una questione di forma: è una degenerazione culturale. La politica-spettacolo, alimentata dai social, non è solo innocua frivolezza. È una forma di deresponsabilizzazione generalizzata. Chi amministra non si assume più l’onere del lavoro difficile e silenzioso, ma si rifugia nella narrazione semplificata, nella contrapposizione gridata, nella polarizzazione emotiva.
La massima assise, lo spazio della decisione e delle responsabilità politiche è invaso dal ritmo dei trend digitali, i contenuti politici vengono adattati ai formati brevi, emotivi, virali. Il confronto diventa scontro, il ragionamento si trasforma in slogan, e la capacità di governo viene sostituita dall’abilità di gestire follower, meme e indignazione online.
“Skidibipobby” – parola che richiama il linguaggio nonsense tipico delle tendenze social – non è solo una battuta. È la sintesi di un fenomeno preoccupante: la trasformazione della politica in intrattenimento.
La logica dell’algoritmo
Quella che dovrebbe essere un’attività pubblica seria, fondata su preparazione, ascolto e responsabilità, si piega sempre più alla logica degli algoritmi. Invece di lavorare per soluzioni, si lavora per visibilità. Invece di parlare ai cittadini per costruire una visione comune, si rincorrono le emozioni più immediate, le scorciatoie comunicative, l’ennesimo contenuto da condividere.
Il risultato? Un’arena pubblica dominata dalla superficialità, in cui il consenso si misura in like, e la reputazione politica si costruisce con i reel. E così, la figura del politico si trasforma: da amministratore a influencer, da rappresentante a protagonista di una narrazione confezionata per i feed.
Serve tornare a distinguere tra comunicazione e propaganda, tra trasparenza e spettacolarizzazione, tra condivisione e demagogia.
“Skidibipobby” resterà forse come un’espressione curiosa, ma porta con sé qualcosa che va presa molto sul serio. Perché se la politica si riduce a inseguire il ritmo dei trend digitali, a svuotarsi in forme sempre più leggere e virali, allora il rischio è che smetta di rappresentare davvero le persone. E che, in mezzo al rumore, non resti più nulla di più forte di uno skidibipobby.