Eventi, costume e società

Viaggio nel mistero e nella storia di Festa Maronna - seconda parte

Continuiamo il viaggio nella storia di nostra Signora grazie a Paolo Frascati

di Paolo Frascati - 15 settembre 2024 08:00

La città di Reggio Calabria, ieri 14 settembre ha vissuto uno dei suoi momenti più solenni e profondamente sentiti, la Festa di Santa Maria Madre della Consolazione. L’evento che rappresenta il cuore pulsante della vita religiosa e civile della città riunisce la comunità in un abbraccio di fede, tradizione e identità condivisa. 

Le strade già dalle prime ore del mattino hanno visto volti illuminati dalla devozione e dalla speranza, mentre cresceva l'attesa per l’imminente processione che ha visto la Sacra Effige della Madonna della Consolazione attraversare la città, portata a spalla dai fedeli, dalla Basilica dell’Eremo fino al Duomo.

Non si tratta solo di un cammino materiale, ma di un viaggio spirituale, intriso di significati profondi che legano il passato al presente, la fede delle madri e dei padri si tramanda senza soluzione di continuità alle nuove generazioni. Ogni passo della processione è scandito da preghiere e canti che risuonano nei cuori, creando un’atmosfera di raccoglimento collettivo. Chiunque abbia vissuto questi momenti, sa che la festa della Consolazione non è solo un evento religioso, ma un’esperienza che tocca il cuore e l’anima. Chiudendo gli occhi, si può quasi percepire un vento mistico che accarezza il volto, portando con sé il profumo delle promesse fatte e delle speranze affidate alla Vergine.

Il nostro racconto, quindi, continua e affonda le sue radici in tempi antichi, quando, nel 1569, fu eretta la prima chiesa sulla collina dell’Eremo e il culto di Santa Maria della Consolazione cominciò a diffondersi tra il popolo reggino. Nel corso dei secoli, la città ha affrontato numerose prove: terremoti devastanti, invasioni turche, pestilenze che hanno falcidiato la popolazione. Eppure, in ogni momento di difficoltà, i reggini si sono sempre rivolti alla loro protettrice, Maria, invocandola con fiducia e affidando a lei le loro paure e speranze. Era consuetudine, nei momenti di maggiore pericolo, portare la sacra effigie dalla chiesa dell’Eremo fino al cuore della città, perché la Madonna potesse vegliare più da vicino sui suoi figli e intercedere per loro.

Per comprendere meglio il valore religioso e culturale della processione è necessario segnalare che nei secoli XVI e XVII questo genere di manifestazioni all’interno delle chiese o intorno ai luoghi sacri erano frequenti in tutto il Sud Italia, secondo l’uso antico del rito cristiano. 

Un episodio emblematico risale al 1576, quando una terribile epidemia colpì Reggio Calabria, causando oltre 700 morti in pochi mesi. In quel periodo, i frati cappuccini, guidati dalla carità della benefattrice Maria Mazza, allestirono un lazzaretto sulla collina del Salvatore per accogliere e curare i malati. Fu allora che uno dei frati, Antonino Tripodi, ricevette un segno divino: una voce lo invitava ad annunciare la fine imminente della pestilenza e a esortare il popolo a recarsi al santuario per un ringraziamento solenne. 

Miracolosamente, l’epidemia si arrestò e i malati guarirono. Questo evento segnò un punto di svolta nella devozione popolare, consolidando la Madonna della Consolazione come la protettrice ufficiale della città.

Nel 1592, le autorità cittadine proclamarono ufficialmente il 21 novembre come festa in onore della Madonna della Consolazione, stabilendo un legame indissolubile tra la città e la sua patrona. Grazie alla sua intercessione, Reggio Calabria superò diverse calamità, tra cui l’invasione ottomana del 1594, i terremoti del 1607 e del 1638, e un'altra epidemia nel 1636. Ogni volta che il popolo si trovava in difficoltà, la processione della Madonna segnava il momento di rinascita e speranza, un atto di fede collettiva che rinsaldava l'identità e l’unità della comunità.

Un altro momento storico di grande impatto avvenne nel 1719, quando un ufficiale tedesco, gravemente ferito in battaglia, si recò al santuario per chiedere la guarigione. La sua preghiera fu esaudita, e in segno di riconoscenza lasciò le stampelle come ex voto, contribuendo a rafforzare la fama della Madonna come consolatrice dei sofferenti.

Un’interessante curiosità storica riguarda l'epidemia di peste che colpì Reggio Calabria tra l'estate del 1743 e l'ottobre del 1745, un evento che evidenzia drammatiche similitudini con situazioni più recenti, come la pandemia di Covid-19. L'epidemia si diffuse a partire dal porto internazionale di Messina, con il quale, nonostante i divieti imposti dalle autorità reggine, si continuarono a mantenere scambi commerciali illegali attraverso lo Stretto. La peste fece la sua comparsa ufficiale a Reggio Calabria il 17 luglio 1743, con il primo caso segnalato in città, e portò alla celebrazione della tradizionale Festa di Santa Maria Madre della Consolazione in forma “senza popolo”, senza la consueta partecipazione della comunità a causa delle misure di contenimento.

Questo periodo, narrato dettagliatamente da Spanò Bolani nella sua "Storia di Reggio Calabria", permette di cogliere sorprendenti parallelismi con quanto accaduto durante la pandemia di Covid-19, non solo per l'impatto sulla vita quotidiana, ma anche per le reazioni delle autorità e dei cittadini. Allora come oggi, la paura del contagio portò all'adozione di misure drastiche per salvaguardare la salute pubblica. Tra il 1743 ed il 1745 la città fu posta in isolamento mediante un rigido cordone sanitario, e l’intera popolazione venne sottoposta a quarantena, con il divieto assoluto di lasciare le proprie abitazioni.

Le ordinanze dell’epoca, applicate con una severità spesso brutale, riflettevano i metodi di gestione delle emergenze tipici del XVIII secolo. I trasgressori delle regole, considerati una minaccia per la collettività, rischiavano pene estremamente severe, compresa la pena di morte. In un momento in cui la scienza medica non aveva ancora sviluppato gli strumenti di diagnosi e cura di cui disponiamo oggi, la risposta delle autorità doveva necessariamente fare affidamento su misure coercitive per impedire la diffusione della malattia.

Questa tragica pagina della storia reggina ci permette di riflettere sulle dinamiche della paura collettiva, delle misure restrittive e della resilienza di una comunità di fronte a una minaccia invisibile. La peste del 1743, come la pandemia recente, è un potente promemoria di come, nonostante i secoli trascorsi e le grandi differenze sociali e tecnologiche, l’umanità continui a confrontarsi con le stesse vulnerabilità di fronte alle malattie.

Questi avvenimenti hanno generato l’espressione del poeta reggino Ciccio Errigo: “Cu terremoti, cu guerra e cu paci sta festa si fici e sta festa si faci” in cui egli celebrava la Festa in onore della Madonna della Consolazione ritenendola un momento ineludibile della vita reggina.

Nel corso del XVIII secolo, la devozione alla Madonna della Consolazione si radicò ulteriormente nel tessuto sociale e religioso della città. Il clero e le autorità civili collaborarono per ottenere dal Papa il riconoscimento ufficiale della Vergine come Patrona Principale di Reggio Calabria. Questo riconoscimento sancì la profonda connessione tra la città e la sua protettrice, un legame che continua a manifestarsi ogni anno con la stessa intensità di fede e partecipazione.

Nel XIX secolo, la città affrontò nuove sfide, tra cui carestie ed altre epidemie, ma ancora una volta la fede nella Madonna della Consolazione permise ai reggini di superare questi momenti bui. 

Nel 1896, venne stipulata una convenzione tra la Curia vescovile e il Comune, che stabilì la divisione dei compiti: la Curia si sarebbe occupata dell'organizzazione religiosa della festa, mentre l’amministrazione comunale avrebbe gestito gli aspetti civili. Da allora, la Festa di Santa Maria della Consolazione è diventata un evento cardine per la città, in cui il sacro e il profano si fondono in un’esperienza collettiva di profonda spiritualità e condivisione.

Questa celebrazione non è solo una manifestazione religiosa, ma rappresenta il cuore pulsante di una comunità che, anno dopo anno, rinnova con orgoglio e fede il proprio legame con la sua Patrona. È un momento in cui passato e presente si fondono, in cui la memoria storica e la fede si intrecciano, creando un’esperienza unica e indimenticabile.

Esperienza che, certamente, ha il suo fulcro nella processione.

I primi a portare in processione la Madonna della Consolazione furono i frati cappuccini nella qualità di custodi del Quadro. Le uniche fonti scritte sui primi trasportatori della Sacra Icona ci rimandano alla discesa del Quadro nel 1656, quando Reggio Calabria rimase illesa tra molti centri del regno infetti dalla peste. 

Fu in quell’occasione che il senato reggino stabilì che ogni anno e per tutte le generazioni future, l’amministrazione della città di Reggio Calabria avrebbe offerto al santuario della Vergine Madre della Consolazione un grosso cero per ringraziamento, in occasione della festa. Tale promessa solenne, trascritta su un marmo nel palazzo comunale, fu ed è mantenuta nei secoli sino ad oggi, anche se spesso le dimensioni del cero erano proporzionate ai meriti riconosciuti nell’anno all’intercessione celeste. 

In questo senso altro episodio d’interesse storico accadde nel 1672, i granai pubblici dai quali ci si riforniva di farina erano vuoti e l’amministrazione dell’epoca emanò un bando per comunicare che si poteva ancora panificare per altri soli 3 giorni. Il panico serpeggiava tra le vie di Reggio, quando il grido di aiuto a Maria percorse l’abitato, si formò una folla di persone diretta verso il santuario dell’Eremo. La processione spontanea era guidata dall’amministrazione comunale dell’epoca costituita dai sindaci: due appartenenti al ceto dei nobili, Giovanni Melissari e Francesco Antonio Plutino e uno per i popolani, Giulio Cesare Dattola. I tre, a piedi scalzi, seguiti da molti concittadini, tra invocazioni e preghiere trasportarono il Quadro in cattedrale.

Quando la processione era appena giunta nella chiesa madre, improvvisamente giunse voce che tre navi inaspettate, cariche di grano erano approdate nella rada di Reggio. Meraviglia, scetticismo e poi sollievo e gioia attraversarono fedeli e increduli. Il miracolo del grano si era realizzato sotto i loro occhi. In quell’occasione i marinai presenti fecero voto di trasportare a braccia in futuro il simulacro della Vergine. 

Nel 1693 per tutte le grazie ricevute si pensò di creare una struttura per condurre il Quadro sino alla Cattedrale. I padri guardiani dei due conventi di Reggio, fr. Antonino da Sant’Agata del “Luogo vecchio”, detto “della Consolazione” e fr. Ludovico Diano, superiore dei Cappuccini dell’Immacolata del “Luogo nuovo”, detto “della Concezione”, accompagnarono in spalla la santa Immagine posta su una leggera base ornata di fiori e candele, fino in Cattedrale. 

Nei tempi successivi, la vara della Madonna della Consolazione divenne sempre più articolata, arricchendosi di cornici ed ornamenti offerti dalla venerazione dei fedeli e in ringraziamento, mentre si determinavano per la processione e la festa rituali e pratiche devozionali. 

Dopo il voto dei marinai per la storia del grano, a causa delle difficoltà con la pesca nelle acque antistanti alla città di Reggio Calabria, furono i pescatori a portare la vara fin dai primi spostamenti. Marinai locali e di provenienti da Bagnara, si aggiungono ai portatori cosentini e naturalmente ai reggini.  

Dai primi anni 1950 si iniziò a regolamentare la processione con il primo intervento in questo senso dell’arcivescovo mons. Giovanni Ferro che proibì ai portatori l’usanza dei piedi scalzi durante il rito del trasporto, abolì la figura del capo vara che guidava il percorso della processione posto sull’alto dell’apparato e istituì la carica di assistente ecclesiastico. La regolamentazione continuò prima con Don Italo Calabrò (1952/1974), dopo Mons. Salvatore Nunnari (1974/1999) e dal 1999 Don Gianni Licastro. 

Durante la processione i movimenti vengono coordinati dall’assistente ecclesiastico con il sussidio dei capi stanga. Le stanghe sono 4, attraversano la vara dal fronte al retro, divenendo così 8. La miticizzazione della vara a condotto alcuni studiosi a pensare che stanga lasci un segno perenne sul suo portatore, sotto lo sguardo amoroso e compassionevole di Maria Vergine e di Gesù Bambino. 

Altro rito riscontrabile durante la processione è il grido, che risuona intorno alla vara e che sottolinea l’arrivo della Sacra Immagine, richiama al mistero dell’incarnazione divina e si rivolge a tutti i presenti. In tal senso è significativa la figura del cosiddetto “u griraturi”, colui il quale lancia il grido. È un grido che grazie anche ai portatori risuona da oltre 500 anni per le strade di Reggio Calabria. Un ruolo importantissimo è quello dei portatori. La catena di portatori è unita dallo stesso sentire, tutti diversi, ma fusi come uno solo corpo intento in uno sforzo fisico all’insegna della pietà religiosa, nella fede e nella testimonianza del carisma devozionale mariano. Perciò i portatori si qualificano come i testimoni di un messaggio d’amore che la Madre di Gesù ha manifestato nei confronti di Reggio con l’obbligo di darne prova concreta. Attraverso loro si perpetua il rito in una forma di tradizione popolare che ormai si perde nel tempo e che li colloca come “rappresentanti” di un itinerario storico-religioso. Ciò è riferibile a tutti i portatori quelli passati, quelli presenti e quelli futuri, essi con il loro perpetuare, incidono positivamente sulla comunità in cui vivono.

Altro aspetto importante della processione è il grido: ‘EH GRIRAMULU TUTTI CU’ CORI!’ ‘OGGI E SEMPRI VIVA MARIA!’ (Gridiamo con tutto il cuore! Oggi e sempre viva Maria!). 

Il grido irrompe solenne ad ogni fermata della Vara, è un suono di amore, di gioia, di speranza, a volte, anche di dolore per tutto ciò che comporta la fragilità della condizione umana. Ad intonarlo è un portatore - “u griraturi” (il gridatore) – che, con un grido dapprima silenzioso, diventa prepotente, assordante e liberatorio diventa capace di coinvolgere tutti i presenti trovando pienezza di comunione nell’acclamazione alla Vergine Maria.

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