Reggio si offre ai turisti
Le difficoltà strutturali e l’improvvisazione ma anche lo slancio di una città che non si rassegna a morire
di Marco Lombardo - 17 settembre 2024 16:20
A conclusione della prima stagione estiva in cui Reggio è riuscita ad uscire dal cono d’ombra e dall’irrilevanza in cui decenni di politiche regionali l’avevano relegata, è troppo presto per trarre dei bilanci strutturati ma una prima impressione emerge chiaramente.
Finalmente la Regione Calabria –e di questo dobbiamo dare atto all’attuale presidente Roberto Occhiuto– si è ricordata che esiste “qualcosa” a sud di Catanzaro e Cosenza.
E’ bastato attuare sull’aeroporto di Reggio le politiche che tutte le Regioni hanno già posto in essere da almeno 20 anni in molti altri aeroporti (da Lamezia a Trapani, passando per Brindisi) per vedere un poderoso balzo in avanti nel numero di passeggeri trasportati. Non solo emigrati che tornavano per le vacanze: c’erano anche tanti turisti che venivano a visitare la città.
Per far sbarcare il colosso Ryanair al “Tito Minniti” non è stato necessario allungare la pista o spianare la collina di Mortara: è bastata una seria volontà politica. Non che i problemi strutturali dell’aeroporto non esistano, ma troppo spesso sono stati solo un comodo alibi per fare nulla.
Questo improvviso e insperato afflusso di turisti ha colto Reggio in uno dei periodi più bui della sua storia.
Nell’ambito di un Mezzogiorno già fiaccato da anni di politiche nazionali di stampo chiaramente leghista e razzista, Reggio ha indubbiamente avuto la parte della cenerentola nonostante non sia esattamente un paesino (è la quarta città del Sud Italia, isole escluse…).
Eppure, nonostante le sue enormi difficoltà e gigantesche lacune, la città in qualche modo ha saputo essere accattivante per chi è venuto a visitarla, riuscendo ancora a esprimere quella sua tipica vitalità che sembrava ormai definitivamente perduta.
Un esempio significativo dello slancio e dei limiti è emerso visitando il bellissimo Palazzo della Cultura “Pasquino Crupi” che ospita numerose opere d’arte provenienti da confisca. Una struttura voluta da Eduardo Lamberti-Castronuovo, politico e imprenditore che ha grandi intuizioni e che sa realizzarle. Un alieno rispetto a una classe dirigente(?) che mediamente non riesce ad andare molto oltre l’organizzazione di sagre del panino con salsiccia e peperoni.
In caldo pomeriggio di un caldissimo agosto certo non ci aspettavamo di trovare la fila all’ingresso, ma ha fatto piacere constatare un continuo afflusso di piccoli gruppi di visitatori, molti dei quali erano effettivamente turisti.
L’accoglienza del personale –molti erano volontari– è stata più che dignitosa.
Nelle sale, impreziosite dalla temporanea e interessante mostra “Pop to Street Art: Influences” organizzata in rete con l’Accademia di Belle Arti, le opere confiscate, bellissime e interessanti (compresi i falsi d’autore), hanno ampliamente ripagato il costo del biglietto. Ma il caldo asfissiante non dava tregua: il museo è sprovvisto di un efficiente impianto di condizionamento dell’aria e i condizionatori portatili che erano stati piazzati nelle varie sale non riuscivano a rendere sopportabile la permanenza.
Anche perché il generoso ed evidentemente estemporaneo tentativo di climatizzazione era vanificato dal fatto che è stato necessario tenere le finestre parzialmente aperte per accomodare i tubi di scarico dell’aria calda.
I visitatori più arditi si sono poi spinti fino al secondo piano, dove –oltre a un caldo davvero infernale– erano presenti anche numerose ed interessanti opere di artisti locali e studenti dell’Accademia delle Belle Arti, insieme (e questa è stata una sorpresa) a splendidi plastici ferroviari, compresa la fedele riproduzione di un tratto ferroviario della Costa Viola.
Purtroppo il commento più ricorrente era: <<Bellissimo, ma che caldo! Sbrighiamoci e andiamo via!>>. Un vero peccato.
Al momento di uscire, al piano terreno, notiamo una porta con la scritta: “Piccolo Museo San Paolo”. Si tratta di una bellissima raccolta di opere, icone e arredi sacri collezionati dal don Francesco Gangemi, che è stato per lunghi anni il parroco della vicina e omonima chiesa.
Alla richiesta di poter visitare anche questo “museo nel museo”, ci è stato risposto, con evidente imbarazzo, che la collezione è “privata” e che è visitabile solo su prenotazione.
Ancora una volta: che peccato! Anziché fare rete e ampliare l’offerta ai visitatori, ci si divide persino all’interno dello stesso stabile.
L’esperienza al Palazzo della Cultura è paradigmatica della situazione di Reggio. Ci sono tante opportunità di offerta ai turisti che finalmente raggiungono questo territorio ma bisogna lavorare –e molto– per migliorane la fruizione e la godibilità. Bisogna fare rete tra le offerte della città e della sua bellissima provincia (ovvero della Città Metropolitana), e non dividersi sterilmente in piccoli feudi.
Lo slancio e la simpatia scaldano il cuore ma non sono sufficienti. Cambiare mentalità è difficile ma l’afflusso di turisti (sempre che la Regione lo continui a sostenere, come del resto fa da tempo per altri territori) potrebbe indurre i cittadini della Città Metropolitana a ripensarsi e a fare quel salto di qualità che ora è necessario più che mai.