Spazio Barbaro: Quando San Paolo sbarcò a Reggio Calabria
La versione del nostro Nanni Barbaro che probabilmente era lì
di Nanni Barbaro - 31 maggio 2024 09:02
Lo sbarco di San Paolo Apostolo a Reggio Calabria è un fatto storicamente dimostrabile e messo agli Atti, quelli degli apostoli al paragrafo 13 del capitolo 28. Nella Bibbia, quindi, mica in un faldone qualsiasi! Narra che il tenace apostolo postumo (nel senso che non ebbe il piacere di conoscere Cristo personalmente ma anzi fece fuori parecchi dei suoi seguaci originari prima di venire fulminato sulla via di Damasco e convertirsi fino al punto da diventare addirittura, se così possiamo dire, l’inventore del Cristianesimo moderno), una volta sbarcato da queste parti, si premurò di procurarsi la possibilità di poter predicare al popolo reggino.
La possibilità non gli fu negata, non si sa bene se perché allora si avesse un concetto già avanzato di democrazia e di diritto di parola o semplicemente per sfotterselo un po', in quanto gli concessero diritto di orazione fin quando una candela, non di grosse dimensioni, di scarsa qualità di materiale e poco esuberante di luce, posta su una colonna mezza rotta, non si fosse esaurita del tutto. Avevano verosimilmente stimato la durata complessiva intorno ai venti minuti e se tanto ci da tanto, se non son bastati tutti i secoli precedenti e successivi per convertire i riggitani a un minimo di senso comunitario, la durata era veramente irrisoria e destinata al fallimento.
Paolo non si scompose per nulla, lasciò che la candela fosse accesa e si accinse a parlare prendendosela pure comoda: prima di cominciare guardò uno per uno i presenti negli occhi, con una lunga pausa alla Craxi e cominciò l’arringa che la candela aveva già consunto la cima. Le autorità pagane, presenti all’evento, cominciarono a ridacchiare e a darsi di gomito e tra loro si dicevano sghignazzando: “Figurati, questo, che già si è mangiato un quarto di candela e non ha detto nemmeno una parola…avrà a si e no il tempo di dire: ‘Signori, è stato un piacere. Vi porgo i miei omaggi e mi reimbarco perché non vorrei far tardi a Roma. Statevi bene e alla prossima…!
C’era pure il non secondario problema della lingua in quanto San Paolo parlava correttamente il greco e il latino (forse pure un po' l’aramaico) ma l’uditorio popolare che aveva davanti probabilmente non andava oltre il dialetto urticiano antico. Tuttavia (e finalmente) Paolo attaccò il sermone e usando, proprio per virtù divina, sia l’urticiano antico che un eccellente greco quando si rivolgeva ai maggiorenti, si profuse in una argomentazione che, come si dice dalle nostre parti, avrebbe infiammato anche le pietre.
Difatti la candela arrivò presto alla base della pietra e questa, invece che smorzare impietosamente la flebile fiammella della candela, prese fuoco essa stessa emanando per giunta una forte luce bianca, che oggi potremmo paragonare a venti neon o tre lampade Led Made in China accese contemporaneamente. Quale non fu la disperazione dei maggiorenti quando, tenendo conto dei bassissimi consumi di neon e led, calcolarono che San Paolo avrebbe potuto tranquillamente parlare per tre giorni di fila e secondo i patti e le antiche regole di ospitalità avrebbero avuto pure l’onere di un bicchierone di limonata o un quarto di Cirò, al bisogno!
Disperati, chiamarono in causa pure la Dea Diana, alla quale la colonna era dedicata e pure lei accorse ma solo per costatare, con evidente sconforto, che non avrebbe potuto fare niente, nemmeno umiliandosi fino al punto di soffiare sulla colonna tipo sulle candeline della torta. Non avevano la minima idea, gli sventurati, di avere a che fare con un signore che era da tempo alle dipendenze di quel Signore che a suo tempo aveva innalzato una colonna di fuoco davanti all’esercito del Faraone che inseguiva il popolo di Mosè in fuga dall’Egitto. Che sempre davanti a Mosè aveva fatto ardere un roveto, a viva fiamma, per ore, sul Sinai, senza che questo si consumasse punto e sempre col fuoco aveva scolpito sulla viva roccia i dieci comandamenti.
Figurarsi se uno così poteva mai impressionarsi davanti a una candeluccia da quattro soldi! E Paolo parlò, parlò, parlò così tanto che, affermano alcune fonti storiche apocrife, i riggitani si convertirono più per stanchezza che per autentica convinzione. Per di più, vista l’evidente e umiliante disfatta dei maggiorenti, ognun dei popolani si munì di una pietra e l’andò ad accendere dalla colonna, ed è da questo storico gesto che discende l’antica e indistruttibile consuetudine dei riggitani di parlare per ore e ore in tutti i laghi e in tutti i luoghi senza mai stuppare, senza o con Cirò e/o limonate (col tempo sarebbero arrivate pure le gazzose al caffè ma Paolo lo seppe solo dopo, tramite una lettera dai Corinzi che transitò a Reggio per ragioni di smistamento postale e si incazzò parecchio, ma oramai era a Roma e aveva ben altre faccende da sbrigare).
Da questo edificante episodio ebbe dunque origine la proverbiale logorrea riggitana. Essa ha dunque delle precise origini storiche e teologiche ed è inevitabile ch’essa imperversi nei secoli dei secoli. “Certo”, dirà qualcuno, “ma a detrimento del senso civico e del senso religioso perché un popolo che chiacchiera sempre non avrà mai né senso pratico né devozione credibile”. E che vogliamo fare? Mica ce la possiamo prendere con San Paolo Apostolo, povero Cristo! Qualcuno testimonia che lo si vede aggirarsi tuttora in Paradiso canticchiando nervosamente un famoso refrain di Guccini. “Ma s’io avessi previsto tutto questo, dati cause e pretesto, le attuali conclusioni…”