Hermes, l’azzeramento che svela il vuoto politico di Reggio: Mazzotta in assindustria mette in luce i risultati raggiunti.
Falcomatà contro tutti alla ricerca di affermazione di un ruolo di controllo
di Francesco Nicolò - 16 novembre 2025 09:15
EDITORIALE
Ci sono decisioni amministrative che parlano più delle parole.
Poi ce ne sono altre che gridano.
L’azzeramento dei CdA di Hermes e Castore, deciso dal sindaco Giuseppe Falcomatà a cinque mesi dal termine del mandato, appartiene senza dubbio alla seconda categoria: non si può ignorare, non si può fingere che sia routine. Perché routine non è.
È un gesto politico travestito da riorganizzazione.
Un colpo di teatro pensato per mostrare forza, ma che invece rivela il contrario: la debolezza di un sistema che non ha più un baricentro e tenta di sopravvivere strappando i fili che lo tengono insieme.
La solitudine del comando
Falcomatà arriva alla fine del suo ciclo senza aver risolto la questione più importante: la successione.
Per dodici anni è stato il riferimento della Città Metropolitana, il volto di un centrosinistra che oggi non esiste più come blocco unico. Avrebbe potuto — e forse dovuto — avere un ruolo politico maggiore, vista la pochezza di alternative che il PD calabrese ha prodotto in questi anni.
Invece no.
Il partito ha preferito disperdere energie su altri fronti: sostenere Muraca da un lato, puntare su Irto e sul suo candidato Ranucci dall’altro. Ma colpo al cuore arriva diretto e senza parole con l'esclusione di un ruolo politico in consiglio regionale. Falcomatà viene escluso dalle cariche di vicepresidente e capogruppo PD che il PD regionali affidano a Ranuccio e Aiello e salta il banco, carriera stroncata altro che corsa alla candidatura per la presidenza.
Il risultato è un centrosinistra spezzato, fatto di correnti che si guardano con diffidenza e gruppi civici che sgomitano per trovare un’identità.
Dentro questo vuoto, Falcomatà tenta di riaffermarsi. E lo fa nel modo più vecchio della politica: mostrando di poter rimuovere e nominare, come se questo bastasse a ricostruire una leadership ormai evaporata.
Hermes e la caduta di stile
L’avvocato Mazzotta, amministratore di Hermes, lo ha detto senza urlare, senza polemiche, senza clamori.
Con un’eleganza che ha fatto ancora più rumore del fragore politico delle ultime ore.
Ha presentato i risultati — oltre 86 milioni di incassi, digitalizzazione dei servizi, portali innovativi, strutture create quasi dal nulla — nel salone di Assindustria, non a Palazzo San Giorgio.
E quel vuoto di sedie istituzionali è diventato il simbolo della situazione: la città, oggi, è senza capitale umano e ruoli istituzionali.
L'azzeramento del Cda non è arrivato per mancato raggiungimento degli obiettivi ma ha un significato lontano dall'efficienza e merito.
Il gesto del sindaco, poi, è stato ancora più eloquente nella forma che nella sostanza: nessun ringraziamento. Nessun saluto istituzionale. Nessun riconoscimento per chi ha portato avanti la macchina con poche risorse e molta dedizione.
Una caduta di stile che non è solo personale, ma sistemica.
Perché quando chi ha “spinto il carro senza buoi”, come ha fatto intendere Mazzotta, viene liquidato senza nemmeno un cenno, allora il problema non è Hermes: il problema è la cultura politica di questa città.
L'avvocato Mazzotta illustra risultati conseguiti, svela debiti prodotti dalle stesse istituzioni, numeri chiari raggiunti con metodo e assunzione di responsabilità del ruolo. Non può fare a meno di elogiare i suoi collaboratori che hanno lavorato oltre le normali ore lavorative, per realizzare risultati a cui credevano per il bene della città.
Le partecipate come terreno di guerra
Hermes e Castore non sono solo società di servizio.
Sono — da anni — campi di battaglia politica, luoghi dove si misura la tenuta del potere e dove si gioca la credibilità dell’amministrazione.
Colpirle oggi, proprio quando Hermes mostrava indicatori positivi e servizi innovativi, non è frutto di una valutazione tecnica.
È un segnale ai “dissidenti”.
Un messaggio ai gruppi in movimento.
Un avvertimento a chi, dentro il PD e il centrosinistra, sta già lavorando a un dopo-Falcomatà che non lo preveda come regista.
Solo che i segnali mandati per mostrare forza, quando il terreno politico è fragile, finiscono per mostrare l’esatto contrario.
Una città senza guida, in attesa del prossimo capitolo
L’editoriale onesto non può nascondersi dietro i tecnicismi. Questa città è politicamente orfana.
Il centrosinistra è frammentato. Il PD è un contenitore che non contiene più nulla.
Le partecipate sono diventate scudi e clavi in uno scontro che riguarda più il futuro delle carriere che quello di Reggio.
E nel mezzo, chi lavora davvero — come Hermes — viene usato come pedina.
La città ha urgente bisogno di una nuova narrazione politica, di una guida credibile, di un progetto che non sia solo un collage di equilibri interni.
Ma se questo è il livello, se questa è la gestione degli ultimi mesi di mandato, allora il timore è fondato: Reggio entrerà nella prossima stagione elettorale senza una vera classe dirigente e senza una leadership capace di tenere insieme ciò che oggi è irrimediabilmente diviso.
Non è più tempo di azzeramenti.
È tempo di ricostruzioni.
E ricostruire, oggi, significa prima di tutto avere il coraggio di dire — e riconoscere — che il sistema politico reggino è imploso. E non solo a sinistra. Le guerre di potere intestine nascoste nella cornice istituzionale non potranno dare una risposta alla paralisi della città.
Da qui bisogna ripartire. Tutto il resto è maquillage.