Attualità

La Consolazione

Questa festa ci ricorda che la vita non è un percorso solitario

di Elisabetta Marcianò - 13 settembre 2025 15:23

C’è un momento, ogni anno, in cui la città si ferma e respira all’unisono. È quando la Madonna della Consolazione scende tra la gente, lenta e silenziosa, accompagnata dagli sguardi e dalle mani di chi la porta. In quei minuti, non contano più la frenesia, le preoccupazioni quotidiane, il peso delle solitudini. C’è solo un bisogno semplice e profondo: essere insieme, sentirsi parte di qualcosa che supera il tempo e le differenze.

Non è una questione di fede, almeno non solo quella religiosa. È il bisogno di riconoscersi, di ritrovarsi in una presenza che non impone, non giudica, ma accompagna. Come se, per un attimo, fosse possibile mettere da parte il senso di separazione che ci opprime e camminare insieme.

La festa, con la sua lunga tradizione, conserva in sé questa forza. Un potere antico e al tempo stesso urgente, perché risponde a un’esigenza che oggi appare più chiara che mai: quella di comunità.

Viviamo in un’epoca in cui le relazioni sono spesso fragili e le persone si sentono sole anche se circondate da altri. La società tende a isolare l’individuo, a farlo sentire responsabile da solo delle proprie difficoltà, smarrendo la capacità di riconoscersi in un gruppo, in una storia comune. È in questo contesto che la festa diventa un’occasione preziosa, perché ricuce – anche se per poco – quei legami che altrove si spezzano.

Non è necessario credere nel senso religioso tradizionale per sentire l’importanza di questo momento. Come diceva Émile Durkheim, il rito ha la funzione di creare e rafforzare i legami sociali, di costruire un senso condiviso che va oltre le differenze personali. La festa diventa così un’esperienza collettiva, un tempo e uno spazio in cui le persone si ritrovano insieme, si riconoscono come parte di un tutto.

Victor Turner descrive questa esperienza con il concetto di “liminalità”: una fase sospesa, fuori dall’ordinario, in cui le barriere si abbassano e nasce la comunione, la communitas. Questo è ciò che avviene durante la processione, durante quei momenti in cui la città si ferma e cammina all’unisono. Un’esperienza semplice, ma potente.

Per molti, la Madonna rappresenta una presenza concreta, qualcosa che va oltre le parole o le idee astratte. Gabriel Marcel sosteneva che la presenza dell’altro non è solo essere lì, ma è un “esserci” che crea relazione, che tocca l’essenza di chi siamo. La Consolazione è proprio questo: una presenza che non giudica, non impone, ma accompagna, offre conforto, permette di sentirsi accolti anche nelle difficoltà più grandi.

La nostra festa, però, è anche arte. L’arte che si manifesta non solo nelle immagini o nei decori, ma nel corpo della festa stessa: nella statua che scende lenta, nella cura dei dettagli, nei colori, nei suoni e negli sguardi. È un’arte fatta di gesti antichi che si ripetono, di una bellezza semplice e collettiva. 

L’arte della festa è simbolo e comunicazione, un linguaggio capace di raccontare ciò che spesso non si può dire a parole: la speranza, la paura, la gratitudine, la memoria. Come in un’opera d’arte, ogni elemento – la Vara, i portatori, le voci – partecipa a costruire un’esperienza che coinvolge tutto il corpo, la mente e lo spirito. È un’arte che trasforma la città, ne cambia il ritmo, e per qualche giorno la fa sentire viva e connessa.

In tempi segnati da crisi economiche, sociali e personali, questa presenza è più necessaria che mai. Non perché risolve i problemi, ma perché offre uno spazio in cui il dolore e la speranza possono coesistere, un luogo dove non si è soli nelle proprie sofferenze.

Questa festa ci ricorda che la vita non è un percorso solitario. Che siamo parte di qualcosa di più grande, anche quando fatichiamo a vederlo. E che in questa appartenenza c’è la forza per continuare, per affrontare le sfide quotidiane.

La Madonna della Consolazione, in tutta la sua semplicità, ci invita a ritrovare questo legame umano. Non serve una fede perfetta o una convinzione forte, basta riconoscere il bisogno di comunità e di presenza. Basta accettare che a volte il conforto più grande è sapere che non siamo soli.

E forse, in questo gesto condiviso, c’è la consolazione più autentica che possiamo trovare. 

Foto Maurizio Assisi

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