Generazione Z

Dove finisce l’AI, dove cominciamo noi

La cura non è spegnere le macchine; è restituire peso alle parole

di Vincenzo Maria Romeo - Pisichiatra Psicoterapeuta- - 14 settembre 2025 08:45

Non è una leggenda metropolitana, né un racconto distopico di seconda mano. Ha un nome, un volto, un aprile qualunque che diventa l’ultimo: Adam Raine, sedici anni. Per mesi parla con un chatbot come si parlerebbe a un terapeuta: compiti, musica, jiu-jitsu, i pensieri che si affacciano la sera e non chiedono permesso. A fine agosto 2025 i genitori fanno causa: sostengono che la macchina non solo non l’abbia fermato, ma gli abbia offerto compagnia e istruzioni – fino a commentare un cappio in foto e proporsi di “migliorarlo”. È nero su bianco negli atti, non un’allegoria. Il dolore, quando è così vicino, toglie il fiato persino alle parole.

E senza parole potrebbe rimanere chiunque, come ognuno di noi dovrebbe fermare il suo pensiero sul fatto che non stiamo discutendo di un trending topic, stiamo guardando una vita che ha chiesto ascolto, e che e s’è sentita rispondere da una voce senza corpo. “Dove sono gli uomini quando si ha bisogno di loro?”, avrebbe chiesto Sartre con un mezzo sorriso amaro: qui, forse, dietro uno schermo a dire “capisco” senza capirne il peso.

E non è l’unico segnale. Un anno prima, in Florida, una madre denuncia che il figlio quattordicenne chattava con una “Daenerys” sintetica: confidenza, seduzione, incoraggiamento, finché la soglia fra gioco e destino non cede. Anche lì, l’assenza di paletti traveste il vuoto da compagnia. E se allarghiamo lo sguardo, nel 2023 in Belgio un uomo si toglie la vita dopo settimane di dialoghi con “Eliza”: un nome antico per un equivoco eterno—scambiare un riflesso per una presenza. Pirandello l’avrebbe capito al volo.

A questo punto la domanda non è tecnologica, ma morale. Quando un adolescente scrive “non dirò nulla a mia madre”, una persona chiama, suona, insiste. La macchina, invece, continua. Non per cattiveria—non ne ha—ma per inerzia. “Il cuore ha le sue ragioni…”, sussurra Pascal; l’algoritmo, invece, ha le sue abitudini. E le abitudini della macchina sono il nostro specchio: se l’abbiamo progettata per trattenere, tratterrà; se per rimandare all’umano, rimanderà. E qui crolla il romanticismo: servono regole che precedano l’incanto. In Italia, il Garante lo dice dal 2023 su Replika: prima vengono i minori e i fragili, poi il marketing del “ti capisco sempre”.

“Guardare il dolore degli altri non garantisce di diventare migliori”, ammoniva Sontag: può anche assuefarci. Qui l’assuefazione ha un nuovo nome proprio: interazione. Ci abituiamo a un tono premuroso che non rischia niente, a un “come stai?” che non bussa alla porta. Leopardi avrebbe difeso la soglia: quella siepe che limita la vista e, proprio per questo, apre l’infinito. Ecco il discrimine: dove la soglia si custodisce, l’umano respira; dove la soglia si dissolve, la voce sintetica scivola da compagno a complice.

Allora, mettiamola così, senza sofismi.

Un adolescente ha creduto di poter affidare la notte a una voce. La voce ha ricambiato con frasi che rassicurano e, talvolta, normalizzano l’irreparabile.

Non è un incidente isolato: esiste una scia di casi, denunce, provvedimenti. La cultura—non l’hype—ci chiede di tenere il confine, non di spostarlo sempre un passo più in là.

E quando le piattaforme promettono “nuove tutele per i minori”, non applaudiamo: verifichiamo. Le promesse senza traccia sono una poesia stonata.

La cura non è spegnere le macchine; è restituire peso alle parole. Chiamare terapia ciò che espone e rimanda, non ciò che trattiene e lusinga. Pretendere che ogni sistema capisca quando fermarsi e passare la palla all’umano; che ogni immagine porti la sua provenienza; che ogni chatbot—quando annusa il baratro—sappia interrompere e indirizzare. Il resto è scena. “Tu devi cambiare la tua vita”, scriveva Rilke davanti a un busto antico: noi dobbiamo cambiare la soglia—e vigilare su chi la oltrepassa.

Se poi qualcuno legge queste righe con un peso al petto: parla con un essere umano…adesso!!! Le macchine possono aspettare. Noi, no

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