Spazio Barbaro: Miraggi
Di siccità e di altre storie
di Nanni Barbaro - 05 agosto 2024 13:00
A un certo punto ci accorgemmo che persino quel famoso fenomeno di rifrazione che faceva sembrare bagnata la strada, davanti a noi, soprattutto su quelle dritte e larghe tipo la 106, non si manifestava più e al posto dell’acqua cominciavano a manifestarsi altri tipi di miraggi tipo cactus in versione bonsai, olografi di crotali e di formiche del deserto, (quelle che escono a caccia di insetti incauti correndo sulla sabbia rovente a settanta gradi e ad altrettanti chilometri orari per non abbrustolirsi le zampette) e robe simili.
Cessarono pure quei fenomeni di visioni fluttuanti per via dell’evaporazione perché non c’era più niente che potesse evaporare, tolta qualche pipì di cane e qualche perdita di tubatura, che in tempi normali sarebbe stata una gittata da diga, ora si limitava a pochi penosi singulti di acqua che non era più potabile nemmeno per i topi per via del troppo ristagnare. Persino l’acqua del mare sembrava essersi ritirata di qualche decina di metri, per non creare delle false illusioni sulla sua possibilità di essere dissalata. “Mi avete già riempito di spazzatura e m*, per non parlare di altri liquidi di sconosciuta provenienza, ci mancherebbe ora pure che mi svuotaste per ridurre lo Stretto a un Grand Canyon”.
Imperversava una siccità mai vista prima: la diga del Menta diventava sempre più simile a una pozzanghera e lo sbarramento calcinava sotto il sole con leggere e continua frane di polvere che rendevano l’aria ancora più secca. C’era gente che girava da Aprile boschi boschi alla ricerca di un ruscello: uno di Tremulini si era introdotto nella boscaglia all’altezza di Gornelle ed era stato visto uscire quindici giorni dopo a Gioiosa con un secchiello d’acqua mezzo pieno, un sorriso isterico e la barba lunga e incolta. A un passo dall’ambulanza era incespicato e il secchiello si era versato per terra: infermieri ed astanti si tuffarono all’unisono verso la piccola pozza d’acqua e cercarono di succhiarla direttamente dal terreno.
C’era gente che risaliva i torrenti da Condofuri fino al Trentino senza intercettare nemmeno un rigagnolo. Gli alberi di fico facevano la questua ai passanti allungando un ramo con una foglia larga per implorare la grazia di un sorso d’acqua ai passanti. Le poche nuvole che ogni tanto facevano capolino sulle Eolie, che un tempo erano quelle che “s’u tempu veni r’a marina, fui subitu e chiuriti in cantina” arrivavano al massimo sopra Bolano, scaricavano quattro tuoni giusto per creare delle grandi aspettative nel popolo assetato ma prima di arrivare a Gallico si dissolvevano languidamente nel lago azzurro del cielo e solo poche di loro passavano sopra Reggio sotto strane forme che facevano pensare a delle braccia a manico di ombrello o a mani chiuse col solo medio eretto.
Le Olimpiadi erano seguitissime non tanto per la qualità delle gare quanto perché pioveva spesso e i telespettatori di Reggio potevano contemplare, commossi, tutto quel ben di Dio di acqua augurando ogni sventur a possibile ai cugini d’Olpralpe. Si incazzavano come iene quanto sentivano dire che “la Senna risente di qualche problema di inquinamento per via delle troppe piogge”. “Ma vaffaaaaanculo!!! Li vorremmo pure noi di questi ‘risentimenti’ nei nostri torrenti, porco qui a porco là” sbraitavano i riggitani. A peggiorare le cose si mettevano pure le immancabili bufale sui social: “in arrivo forti perturbazioni di origine atlantica con drastico abbassamento delle temperature fino, a dieci, tredici gradi in meno a partire da domani”.
E puntualmente, a partire da domani, aumento di cinque gradi di temperatura, di 170 di umidità e mare a 35 gradi all’ombra degli scogli. La situazione era diventata tale che alla Ryanair era consentito atterrare a Reggio a patto che i piloti portassero almeno cinque taniche da venti litri cadauno. Le carovane circensi avevano l’obbligo di comprendere tre autobotti. Quelle dei musicisti in tournèe l’obbligo di un tir di minerale liscia. Un vagone dei Frecciarossa e di Italo doveva essere adeguatamente reso a tenuta stagna e riempito con acqua eccedente di alluvione nordico.
C’era già chi parlava di convertire i gasdotti che venivano dalla Russia in acquedotti. Con la solita faciloneria reggina si diceva: “i rassamu mi scùrrinu na urata mi si ndi vai bellu bellu u metanu e poi mbivimu”. Si, lo so, sono quasi tutte fantasie quelle che ho scritto ma non comincia a venirvi il dubbio che possano diventare delle cose reali se va avanti così?