SPAZIO BARBARO: Ne è passata di acqua…
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di Nanni Barbaro - 23 luglio 2024 13:33
Col passare del tempo aumenta il numero degli storici che contestano energicamente le circostanze nelle quali Reggio sarebbe stata fondata. La tradizione tramanda il racconto di alcuni transfughi greci che “sbarcarono presso la foce di un fiume e li, come aveva predetto la Pizia (una specie di oracolo del tempo) videro una vite attorcigliata a un fico e quello era il segno che erano approdati nel luogo giusto”.
Ora, al di la della vite e del fico e di tutti i significati erotici che uno potrebbe anche dedurne, il dettaglio che colpisce è quello della “foce di un fiume”, verosimilmente il Calopinace, che a guardarlo ora e pensarlo come fiume può indurre a due reazioni contrastanti: o ammazzarsi dalle risate o versare tante di quelle lacrime che qualche ipotesi che possa sembrare un fiume diventa plausibile. Ma tant’è: il racconto parla precisamente di “fiume”, che è cosa abbastanza diversa dal torrente, il quale, come si sa, è a intermittenza e può passare da piene devastanti a siccità senza remissione. Io ne ho uno vicino casa, il Torbido) e non ci vedo acqua da quanto facevo le medie (ora sono in pensione). Idem per lo Scaccioti, che separa Archi da Gallico. Ma neanche l’Amendolea scherza e mi sono sempre chiesto se davvero quello sia stato il letto di una fiumara o solo il frutto della megalomania dei Ruffo di Calabria per creare una spianata enorme che portasse ai loro castelli in modo da far cagare sotto eventuali nemici in arrivo, che immagino esclamassero: “Minchia, se questa è la strada di accesso, quanto sarà grande il castello?”. E tornavano in fretta sui loro passi.
Gli Alberti di Pentedattilo furono probabilmente sterminati anche perché non pensarono di allargare e spianare quella stradina tanto bitorzoluta che esiste tutt’oggi e non riesce a sopprimere del tutto al viaggiatore, che finalmente giunge alla meta con lo stomaco in subbuglio, il pensiero malefico che non sarebbe male se si schiantassero di colpo tre delle cinque famose dita.
Dunque voi capite l’importanza fondamentale che l’acqua abbia avuto nella storia di questa città e quanto sia stata ardua la lotta contro la natura arcigna. Ho il fondato sospetto che sia stato il padreterno stesso (o i padreterni olimpici dell’epoca) a ridurre drasticamente la portata idrica dei bacini vedendo che razza di stirpe malefica e autodistruttiva stava edificando la polis. Difatti si passò in breve tempo dai sontuosi “fiumi” alle modeste “gebbie”, vasche quadrate o rettangolari in cemento che raccoglievano le sottili vene d’acqua ricavate dopo duro lavoro di scavo nella roccia viva o collegate con sistema di sollevamento prima ad asino rotante e poi a pompa idraulica, a pozzi così profondi che Dante stesso deve aver in qualche modo visitati e tratto spunti interessanti per i gironi infernali.
La Gebbia anticipò di parecchi secoli la diffusione capillare delle fontane pubbliche e fu la principale fonte di approvvigionamento idrico anche ad uso alimentare. Da qui il famoso detto “ndi mbivisti acqua i gebbia!”, che non racconta soltanto una circostanza storicamente accaduta ma è diventata una allegoria sempre attuale per indicare il cittadino, che addivenuto a qualche ruolo di rilievo, fa il sofisticato e il fine intenditor del bel vivere, magari proprio mentre sorseggia un bicchiere di minerale proveniente da due anni di Tir sotto il sole cocente ma di marca famosa (l’acqua ma anche il Tir stesso magari).
E tenete conto che in questa citta il “Ruolo di rilievo” non è da ritenersi appannaggio delle alte cariche politiche, economiche o mafiose. Qui basta essere pure usciere o custode di cimitero per sentirsi in un ruolo “di rilievo” rispetto, per esempio, al comune cittadino. E’ una gerarchia di rilievi che non conosce limite alcuno: a Reggio si sente “di rilievo” pure un gommista che ha riparato la gomma ad un assessore rispetto a un altro che ripara solo biciclette. E’ di rilievo il banconista rispetto al garzone che porta vassoi di caffè e granite peri peri, il picciotto rispetto a un aspirante picciotto. Figuratevi quanto se la tirano quelli ai livelli più alti del potere.
Un potere che, ora lo sappiamo per certo, è direttamente proporzionale all’acqua di gebbia metaforicamente ingurgitata, anche se non sono lontani i tempi in cui essa (l’acqua di gebbia) potrebbe tornare ad essere ingurgitata tutt’altro che metaforicamente.