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SPAZIO BARBARO - Pista su Pista

,Da dove deve partire la pista? Non è un problema: “aundi vi firmati ccuminciati”

di Nanni Barbaro - 28 febbraio 2024 08:08

Non sono, ovviamente, un esperto ma se non ricordo male quella striscetta bianca che viene triturata tipo prezzemolo, con il taglio del bancomat e poi stretta sui bordi per poter essere insufflata senza dispersione su per le narici, si chiama “pista” e la materia bianca chiamasi cocaine che non è un brano di Eric Captlon. Si chiama “pista”, tra altri sinonimi, pure quella ciclabile, giusto? Lo so, lo so: se avete dato anche una anche sommaria occhiata alle piste ciclabili recentemente tracciate a Reggio vi sarà venuta immediata e inevitabile l’associazione tra le due piste, quella di cocaina e quella per le bici. E avete visto giusto.

Finiti i bei tempi in cui i vecchi cantonieri andavano in giro a fare lavori di rammendo, (d’accordo, coi tempi medi reggini: cento metri in quattro ore) ma seppur, qualcuno, tòddhiru di vino e intossicati di nazionali senza filtro, vivaddio il loro elementare lavoro lo facevano con precisione e scrupolo. La viabilità dei marciapiedi era assicurata, perché a quei tempi erano assicurati anche i marciapiedi perché era più la gente che andava a piedi che quella di ora, che i marciapiedi li usa per le due ruote laterali delle macchine.

Ora sono tempi moderni: hanno chiuso le vecchie putie di vino, sopraffatte dai moderni supermercati di stupefacenti, che lavorano pure di notte. Anzi, soprattutto di notte ed è così che la mattina dopo progettisti ed esecutori materiali delle attuali piste ciclabili hanno già fatto la spesa e la prima sniffata, abbondante, come è giusto che sia per il primo pasto del giorno. Quindi partono le messe in opera.

Da dove deve partire la pista? Non è un problema: “aundi vi firmati ccuminciati”. Ed è questo che spiega il fatto che molte di queste piste ciclabili hanno origine davanti ai bar. Una, misteriosa, verso la zona sud, ha origine da una casa privata a piano terra, proprietà di una prosperosa signora che da tempo si sospettava fosse l’amante di uno degli operatori di pista. Già che era lì, ed evidentemente aveva avuto una nottata impegnativa, è partito dalla porta della signora per poi andare dritto come un fuso tagliando incroci, torrenti, mercatini, cortili, parcheggi condominiali, per poi ricongiungersi trionfalmente con altri colleghi che partendo da tre bar e un negozio di ricambi d’auto (ognuno ha le proprie esigenze, oh!) avevano tracciato un dedalo di piste che, al confronto, i percorsi della Settimana enigmistica per arrivare a un oggetto al centro del disegno erano la A1.

Ma andiamole a vedere nel dettaglio queste piste ciclabili, in ordine di importanza: la Pista Uno (per brevità la chiameremo P1…(poi facimu rrisi quando arriviamo alla seconda, la P2…): è la più importante perché interessa il centro storico della città. Essa non ha un punto di inizio in quanto è a circolo chiuso, quindi può essere stata iniziata tanto davanti a un bar che dietro a un chiosco. Di certo è che attraversa longitudinalmente il Corso Garibaldi, anche se con andamento sinusoidale per diradare drasticamente il traffico pedonale, che, effettivamente, in certe ore del giorno è davvero insostenibile. 

Scende da piazza Indipendenza, per dare un attimo di respiro al ciclista e svolta bruscamente a destra, poi ancora a destra e si inerpica gioiosamente fino a Via Aschenez, la imbocca e quando ti illudi che ti porti briosamente Castello ecco che svolta a sinistra e costeggiando il Liceo Scientifico ti porta su Via Reggio Campi fino all’imbocco di via Cuzzocrea (a calata ill’Industriali, vah) e da li a rotta di collo e soprattutto di freni fino a piazza Duomo, dove si inoltra in cattedrale, fa un giro commosso tra le tombe degli Arcivescovi e dietro l’altare maggiore, indi ri- esce e dopo una capatina all’interno delle Librerie Paoline si rimette in viaggio verso via Torrione, scende da via Osanna (che è poi pure l’urlo di esultanza per chi è arrivato vivo fin li) andandosi finalmente a ricongiungere col tratto iniziale del percorso, sul Corso Garibaldi.

La P2, che dovrebbe essere vietata per legge per via del nome imbarazzante che porta, parte comunque dall’uscio di un noto massone della città (fate voi, uno a caso) e a puro titolo di depistaggio (non so se avete colto la finezza) si inerpica subito verso le zone alte della città dapprima costeggiando il Tapis Roulant e poi, incrociando per un attimo quella di Via Aschenez, continua imperterrita verso le alture, col Gran Premio della Montagna verso Terreti, per poi scendere e andare a morire a Condera (altra finezza che sicuramente non vi sarà sfuggita).

La P3 è quella che interessa il Parco Pentimele di Archi, a circolo chiuso anch’essa. E’ quella che più di tutte ha interessato ponderosi studi psichiatrici per le sue caratteristiche geografiche che richiamano subito alla mente i famosi “rituali ossessivi” tipici, appunto, della prima fase della paranoia acuta che poi sfocerà in schizofrenia indi in ricovero a tempo indeterminato. In parole povere, è una pista a circolo chiuso attorno a un perimetro che delimita un’arcana area di sfasciume che un tempo si chiamava Fiera Agrumaria, Zona industriale, Area del mediterraneo ed altri suggestivi nomi che come tutti i suggestivi nomi delle opere pubbliche delle nostre parti significano una beata minchia.

Non so chi avrà mai la voglia di andare a farsi un giro su questa pista, che in estate verrà molto comoda per le ruote anteriori delle macchine in parcheggio, ma se lo farà bisogna far scattare l’allarme perché è chiaro segno che il malcapitato è sulla dura pista del ricovero ospedaliero. Ah, a proposito: le piste, strette o strettissime che siano, hanno tutte le strisce bianche ai lati. Era ed è un doveroso omaggio a chi materialmente le ha ispirate. Seguitemi per i percorsi a venire e non fatevi depistare.

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