Spazio Barbaro: la parola Grazie
"E' estremamente confortante il fatto che la parola abbondi e tracimi addirittura fino al tormentone soprattutto in occasioni di incontri culturali, seminari, conferenze"
di Nanni Barbaro - 02 febbraio 2024 10:24
REGGIO CALABRIA - Ne parlerò, ovviamente, ma è proprio con essa che devo inaugurare questo gradito spazio che mi è stato concesso. Appunto con un Grazie a Elmar e a tutta la redazione proprio per quanto sopra. È per me un vero piacere e un onore dare il mio modesto contributo a questo giornale davvero ricco di stimoli. Per entrare subito in questione: non so se ci avete fatto caso ma, contrariamente a quanto pensano molti maldicenti pessimisti in giro per la città, la parola più diffusa non è quella che indica grossolanamente l’attributo sessuale maschile ma, guarda caso, la parola “Grazie”.
Non dico che sia equamente distribuita in tutte le fasce sociali. In taluni casi, anzi, essa viene associata al suddetto attributo per indicare direi, molto efficacemente, situazioni nelle quali la soluzione appare scontata o, per altri versi, forzata per interventi di forze superiori, di qualsiasi natura (“e grazie al..”). Però è estremamente confortante il fatto che la parola abbondi e tracimi addirittura fino al tormentone soprattutto in occasioni di incontri culturali, seminari, conferenze ecc. Non prende avvio il dibattito se non dopo averlo sciorinato per lo meno 45 volte.
Grazie di fila a tutti che (per carità di Dio) se lo strameritano, ma spesso la cosa occupa minuti preziosi perché si accompagna a note biografiche e curriculari abbastanza lunghi e se genera vivo imbarazzo nel destinatario, ebbene costui sia considerato degno della nostra massima comprensione. Ripeto: tutto doveroso e ineludibile ma insisterei ancora sul dilatarsi dei minutaggi implacabilmente erosi dalla gratitudine, anche perché si deve dare per scontato che i relatori si prenderanno anche loro la loro doverosa rappresaglia di “grazie”.
Senza contare quei soggetti pericolosissimi, vero incubo per ogni consenso culturale, i quali prendono la parola durante il classico e pletorico “se qualcuno vuole aggiungere qualcosa o fare un suo intervento…” Ovviamente grandineranno grazie a non finire ai relatori, agli organizzatori e ai loro congiunti, anche se non presenti e anche se non più viventi, e si inoltreranno in trattazioni che molto difficilmente diventeranno, come deontologia intenderebbe, domande ai relatori ma saranno integrazioni e spesso anche sibilline confutazioni dei temi trattati. Ma questo richiederebbe una trattazione a parte che mi riservo per il futuro (se mai ne avrò uno dopo un esordio di tal fatta).
Chiudo, dicendo, che non contesto affatto la buona abitudine di ringraziare che offre un’opportunità di espressione. Quel che solo vorrei dire è che spesso il “Grazie”, oltre al garbo, sembra implicare una distanza, la denuncia di uno scollamento psicologico tra individui che sembrano concepire il concetto di collaborazione quasi come una concessione momentanea e condizionata (più grazie mi dici e meglio ti servo) che verrà presto ritirata e dissolta in coincidenza della fine del consesso, qualsiasi esso sia. Non dico che ciò rappresenti il male psicologico peggiore di questo nostro modo di relazionarci, in questa città ma, per chiosare nella mia lingua preferita che è il dialetto, mancu zannia.
Grazie (ops…)