SPAZIO BARBARO - LA DITTATURA DELLA DITTA
Una lezione di vita
di Nanni Barbaro - 28 aprile 2024 13:17
1986, abitavo a Forlì, in una amena e linda via intitolata a Don Minzoni: un pomeriggio particolarmente caldo un furgone che aveva appena finito di rifornire di bibite la Casa del Popolo che stava proprio di fronte casa mia, andando in retromarcia prese in pieno l’angolo di un muretto di recinzione del cortile della suddetta e lo mandò in pezzi. Essendo largamente frequentata da pensionati con una certa innata pratica di osservazione di lavori in corso, l’incidente non poteva passare inosservato.
L’autista scese, verificò i danni al muro con una repentina chiamata in correo di una decina di Santi e Dio stesso e si trovò circondato da un capannello di ultra settantenni con aria contrita che dopo aver sostato in silenzio per qualche attimo davanti al luogo del sinistro, confabularono brevemente tra loro e poi si rivolsero all’autista ancora impegnato in un severo interlocutorio con i sovrintendenti del paradiso. Scambiarono qualche parola, anche con lui, in dialetto stretto: l’autista, preso brevemente atto dei danni riportati al furgone, se ne ripartì quieto verso altre Case del Popolo da dissetare e i vecchietti si dipartirono in diverse direzioni. Verso le proprie case: questo dedussi da quel che avvenne pochi minuti più tardi.
In capo a un quarto d’ora li vidi tornare in ordine sparso verso il luogo del sinistro e ognuno di loro aveva in mano attrezzi e materiale idonei alla ricostruzione (a Reggio, nella nostra retorica ottocentesca, avremmo detto “atti al rifacimento”): chi un secchio di cemento, chi la cazzuola, chi qualche mattone, chi la livella, chi un fracassino e in men che non si dica il muretto tornò più bello e nuovo di prima e per terra, torno torno, si poteva tranquillamente impastare la pizza per quanto era pulito. Si pensò pure a un paio di metri di nastro bianco e rosso per circoscrivere l’area di intervento usando tre sedie del bar. Dopo di che tutti tornarono tranquillamente al tressette e io alla finestra che sbalordivo fino a quasi la commozione pensando che una scena così, a Reggio, non l’avrei vista manco se i pensionati nostri li avessimo costretti con le armi o dopati con sostanze stupefacenti.
Fu una lezione di vita che non dimenticai mai e se posso dire che è una di quelle esperienze che ti cambiano la vita, ebbene, quella fu un’esperienza che mi cambiò la vita, la percezione della realtà, il significato più profondo di quello che si chiama “senso civico”. Li, in quel pomeriggio caldo di luglio, ebbi per la prima volta nella vita il senso tangibile di ciò che significa “bene comune” e quello di cura per la propria città. Da noi avremmo aspettato l’intervento salvifico Della Ditta. C’è un dissesto, dalle nostre parti, che non sia direttamente messo in relazione con La Ditta?
Crescono erbacce davanti casa, che potrebbero essere estirpate in dieci minuti? Macché: ci deve pensare La Ditta. Scappa qualche barattolo per strada, che potrebbe tranquillamente recuperato e accluso al nostro cestino di differenziata? Poi lo raccoglie La Ditta. Rubano un rubinetto da tre euro al cimitero? Poi viene e lo cambia La Ditta, dopo qualche mese e la fuoriuscita di acqua equivalente al fabbisogno idrico mensile di un piccolo centro urbano.
Si sgretola un angolo di muro, come successo nell’episodio sopra citato? Quando e SE viene la ditta se ne parla. Ogni tanto lo racconto, questo episodio, a titolo di esempio di quanto più facile potrebbe essere la nostra vita di ogni giorno se ogni tanto ci mettessimo del nostro e curassimo il patrimonio comune avendo ben chiaro che se è comune è di tutti e porta un vantaggio a tutti.
In tre casi su cento si trovano d’accordo su questa prospettiva. Gli altri 97, alcuni lo dicono altri sono, propendono tutti per La Ditta. C’è La Ditta pronta pure quando andiamo all’altro mondo! E pensare che (si stenta a crederlo) che ho lavorato in una città in cui pure un funerale era un bene comune perché i morti li accudiva e li trasportava il servizio comunale.