Intervista a Matteo Gallello: un viaggio nel vino Calabrese
Gallello sa raccontare il vino e il cibo non solo come piaceri della tavola, ma come espressioni culturali, sociali e territoriali
di Elisabetta Marcianò - 19 maggio 2025 09:59
In un panorama enogastronomico sempre più ricco di voci, quella di Matteo Gallello si distingue per profondità, rigore e passione. Giornalista e scrittore, Gallello sa raccontare il vino e il cibo non solo come piaceri della tavola, ma come espressioni culturali, sociali e territoriali. In questa lunga intervista ci accompagna in un viaggio che sta facendo, in compagnia dello chef Antonio Battaglia, in cui ritroviamo il valore della sostenibilità e l'importanza di una narrazione autentica e consapevole. La scelta, dell'enoteca culturale di AltaFiumara, infatti, è stata fin da subito valorizzare e dare 'voce' solo ai vini calabresi.
Qual è stata la tua prima esperienza con i vini calabresi e cosa ti ha colpito di più?
“Sono sempre stato interessato al lavoro della campagna e della vigna in particolare. I miei nonni facevano il vino per casa e dunque le prime esperienze di “assaggio” avvenivano proprio a tavola. La passione per la geografia e l’antropologia ha fatto il resto: aver preso coscienza, oltre 20 anni fa, che delle tante differenze dei vini e dei relativi territori è stata una scoperta illuminante che ancora oggi coltivo.”
Quali sono, secondo te, i vitigni autoctoni calabresi più sottovalutati e perché?
“Un paio di lustri fa avrei annoverato il mantonico ma, per fortuna, negli ultimi anni in molti ne hanno compreso la statura. Direi che è possibile ancora esplorare ampiamento il magliocco canino, una varietà dalle peculiarità davvero magnifiche: tensione, duttilità, propensione all’invecchiamento.”
Come si sta evolvendo la percezione del vino calabrese a livello nazionale e internazionale?
“La credibilità del vino calabrese è cresciuta molto, inequivocabilmente. Merito delle nuove generazioni di vignaioli e delle aziende, di quel che è scaturito dalla ricerca sui vitigni, dall’adeguata interpretazione dei molteplici terroir e dalla sensibilità nei confronti dell’ambiente.”
Come è nata la tua collaborazione con il Polo Culturale AltaFiumara e qual è il tuo ruolo all’interno di questa nuova realtà?
“Un vignaiolo aderente alla FIVI, Cataldo Calabretta, è stato il tramite affinché io e lo chef Antonio Battaglia potessimo entrare in contatto. Abbiamo concordato un lungo e profondo seminario sul vino calabrese che è iniziato e gennaio e terminerà a giugno 2025.”
Quali iniziative avete organizzato per valorizzare i vini calabresi?
“Dieci incontri attraverso i quali stiamo approfondendo tematiche peculiari, dalla sensibilizzazione verso l’unicità dei ceppi secolari ai vini ottenuti da vigne adiacenti al mare passando per confronti tra magliocco e gaglioppo con altri grandi rossi mediterranei.”
Quanto è importante raccontare il territorio attraverso il vino?
“Non solo importante ma il vino è uno strumento coinvolgente e multidisciplinare che riesce a percorrere e testimoniare il tempo e lo spazio come pochi altri.”
L'esperienza più significativa che stai vivendo in questo contesto?
“La sensibilità dei partecipanti desiderosi di conoscere quel che si ha a disposizione “dietro casa” e riconoscerne la bellezza così da potergli dare un valore adeguato e averne cura.”
Che prospettive vedi per il futuro del vino calabrese e quale contributo può dare il L'Enoteca Culturale alla sua crescita?
Se i calabresi si impegnano a conoscere e rispettare quel che hanno a disposizione in termini culturali, ambientali e paesaggistici allora la prospettiva del vino sarà sicuramente positiva. Non si tratta di argomenti separati: il vino può essere collante fondamentale della proposta formativa e turistica della Calabria. L’enoteca culturale di Alta Fiumara si è da poco posta come punto nevralgico per la conoscenza del vino, se la capacità di ascolto e il coinvolgimento si manterranno così elevate, certamente contribuirà a elevare il comparto enogastronomico e alla consapevolezza di tante appassionate e tanti appassionati.”
Il mercato e la critica tendono ancora a considerare i vini calabresi di nicchia. Quali strategie, secondo te, potrebbero essere più efficaci per farli emergere senza cedere a mode passeggere o snaturare la loro autenticità?
“Non credo che essere considerati “nicchia” sia necessariamente negativo, anzi. Di certo l’innalzamento della qualità media, anche dei vini “base”, è una strada giusta e perseguibile. A proposito, ci sono ancora molti territori, specialmente nelle aree interne, vocati e oggi non più esplorati, né tantomeno coltivati, proprio questa stessa diversificazione, questa straordinaria molteplicità delle zone, può essere un’arma vincente senza sentirsi in dovere di allargare zone già ampiamente vitate. A proposito il recupero, la tutela e il censimento delle vigne storiche è fondamentale, così come conservare un paesaggio vario. Si tratta di aspetti che certamente ripagheranno in futuro perché pongono l’attenzione su un’idea di custodia della terra che la Calabria deve necessariamente perseguire.”
L'Enoteca Culturale si pone come un’entità culturale che va oltre la semplice promozione del vino. In che modo l’enogastronomia diventa un veicolo per raccontare la storia e l’identità calabrese attraverso il vostro lavoro?
“Il cibo e il vino sono componenti fondamentali della storia di un luogo. Non è necessario citare intere opere che si basano sull’interazione complessa tra tradizione letteraria, civiltà, simbologia e gusto. È importante non svilire questo patrimonio con spropositati interessi economici né con racconti scialbi e superficiali, sottostanti alle mode passeggere e alla fugacità dei social network, questi ultimi strumenti fondamentali, ci mancherebbe, ma che devono supportare una sostanza, una credibilità di base.”
Nel tuo percorso con l'enoteca hai avuto modo di dialogare con produttori, sommelier e appassionati. C’è stato un incontro che ti ha particolarmente segnato o fatto cambiare prospettiva su qualche aspetto del vino calabrese?
“Sono felice della continua meraviglia che l’assaggio del vino mi riserva. Assaggio con una cadenza quotidiana vini provenienti da tutto il mondo e fare con cura questo lavoro significa anche non dare nulla per scontato, magari anche cambiare prospettiva giorno per giorno o, durante una degustazione, anche minuto dopo minuto. Certamente il lato laboratoriale degli incontri si completa con l’abbinamento ai piatti dello chef Battaglia e tutto questo fornisce ulteriore spessore e sempre nuove sorprese.”
Spesso il problema della Calabria è la frammentazione delle realtà produttive e la difficoltà di fare sistema. AltaFiumara sta cercando di colmare questo gap? Se sì, come?
Uno degli aspetti fondamentali della cultura del vino è la narrazione. Quali storie di viticoltori calabresi ti hanno colpito di più e meritano di essere raccontate?
“Il fatto che l'enoteca culturale di Alta Fiumara si ponga come “casa comune” affinché il mondo enogastronomico possa incontrarsi è già un segno di apertura e di accoglienza.
Non è facile fare sistema ma, nel caso della produzione di vino, la coscienza di agire non solo per interessi privati ma anche per quelli del territorio e di chi ci sarà nelle generazioni future, è già un grande passo.
L’esempio dei vignaioli e delle vignaiole di Cirò è eclatante quanto a narrativa anche di formazione, enologica: uno di loro, Francesco De Franco, ha dato impulsi fondamentali al territorio: far riscoprire al mondo il gaglioppo autentico e aver saputo cementificare i rapporti tra colleghi attraverso il confronto.”
Se dovessi immaginare il futuro del vino calabrese tra dieci anni, quali scenari? AltaFiumara potrebbe avere un ruolo attivo in questa evoluzione?
“È necessario che un luogo come Alta Fiumara perseveri nell’obiettivo che si è prefissato: fare cultura del vino a 360 gradi e dunque, sempre di più, formazione, occasioni di confronto, iniziative serie e ben organizzate.
Il futuro del vino calabrese sarà roseo se le nuove generazioni di vignaioli riusciranno a badare alla sostanza delle cose, con spirito di sacrificio e gli appassionati alimentino la capacità di mettersi in gioco e non perdersi dietro alle superficialità. Ad ogni modo, per come sono andate le cose dal 2010 in poi, non posso che essere speranzoso.”