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SPAZIO BARBARO: ACCA’ DEMIA?

Il dialetto: patrimonio umano

di Nanni Barbaro - 05 luglio 2024 14:03

La solerte Direttrice sottopone alla mia attenzione una notizia che mi suona confortante assai: in Sicilia si sta pensando a una sorta di Accademia della Crusca per salvaguardare la lingua siciliana. Ora, come tutti sanno, da anni io e parecchi amici, come me maniaci del dialetto, stiamo portando avanti una dura e disperata lotta per la salvezza di quello reggino, che è appunto la crusca (in senso alimentare proprio) della quale ci siamo nutriti prima di soccombere all’avvento di un italiano la cui mbòcica è stata causa di suicidio o di approccio alle droghe pesanti per molti insegnanti di dizione ed ha molto incoraggiato quei settori della Crusca (L’Accademia) propensi a una replica a breve del 28-12- 1908 a causa della efferata pulizia etnica messa in atto contro i congiuntivi. 

Ciò dimostra che le speranze di recuperare i riggitani a un italiano decoroso sono pressochè nulle e ciò rappresenta paradossalmente un’ottima notizia per i propugnatori del ritorno al dialetto. Ci arriveremo senz’altro, al ritorno al dialetto, a patto però che venga effettuata una efficace azione deterrente contro quella micidiale categoria di “esperti” che diffida chicchessia dall’usarlo senza averne studiato storia, etimologia, gnosi, ermeneutica, filologia e se capita pure teologia. Non che capire da dove origina la parola “zzimba” non sia importante, per carità, ma dubito fortemente che al trattorista di Cardeto che voglia parlare la nostra lingua madre fotta assai che il termine venga dal grecanico, dal latino, dall’arabo o dal bizantino. 

Purtroppo, questa mania dell’Accademia, a Reggio, ce l’abbiamo un po' per tutto. Esiste un numero ancora molto consistente di studiosi del dialetto, (ognun dei quali, alla fine di questo articolo, prenderà precise informazioni sul modello della mia macchina e sul numero di targa) che vorrebbe addirittura avere accesso alle scuole pubbliche per sottoporre a un supplizio di etimologie intere scolaresche innocenti, che per rappresaglia potrebbero pure votarsi all’abruzzese dell’entroterra.

Premesso che non ho macchina e che una bici a fuoco non dà molte soddisfazioni, volevo proporre una tecnica alternativa e secondo me assai più efficace per rivalutare e riabilitare il dialetto ridando vita alla mitica Accademia della strada e della vita quotidiana. Vogliate apprezzare, attraverso questo breve glossario, l’impareggiabile vantaggio di assimilare, in pochissimo tempo, la bellezza e anche il desiderio della nostra lingua madre: “Ma va al diavolo”, per esempio, non avrà mai la dirompente efficacia espressiva dell’ “A fissa i to mamma!” che è, etimologicamente (a ridaje) parlando nient’altro che una semplice costatazione anatomica, ma ha una valenza ostica equivalente a cinquanta banali “diavoli”.

E poi, vuoi mettere la potenza melodrammatica del “mi spaccai u sticchiu r’u culu” con un flebile “mi sento una stanchezza notevole”? E “a pigghiasti a vacca r’i cugghiuni” può mai essere messa a confronto con “hai fatto un errore marchiano”? (che poi “marchiano” risulta essere a conoscenza a si e no dello 0,0008 dei residenti).

E poi, ancora, c’è bisogno di un dispendio di parole tipo “posseggo una vasta e precisa conoscenza dell’argomento e posso fornire senza esitazione dovizia di prove a volontà” quando basta un lapidario e fortemente iconico “a mmia m’u rici?”. E quale definizione in italiano per denotare generosità, senso dell’ amicizia e lealtà può superare lo scultoreo “è pavatu sannò m’a sentu?”

E trovatemi qualcosa di maggior efficacia, rispetto a: “puoi gentilmente scansarti?” di “Càcciti i ddhocu, hai a bbuntà!”? E come può parimenti esprimere, il nostro povero e precario italiano, l’invito perentorio a darsi la giusta e adeguata punizione per un errore irreparabile rispetto a un perentorio: “Va càliti o portu”? E come non sentirsi vibrare di orgoglio patrio nel proclamare: “Mi mpendu ntall’urtimu pilu r’i cugghiuni!” invece dell’oramai incolore “non temo nessuno”?

E “curnutu tu e cu non t’u rici” non è infinitamente più efficace di un insulto collettivo di un’intera curva sud italianizzata? Potrei andare avanti per ore ma colgo l’occasione per suggerire a tutti la lettura di veri e proprio “inni sacri” in dialetto reggino che hanno fatto e sempre faranno scuola in materia: le poesie di Nicola Giunta, di Ciccio Errigo, di Pepè Ginestra, di Arturo Cafarelli, Pasquale Calcaramo, Giuseppe Morabito, Ciccio Epifanio, Paolo Lacava, Natale Cutrupi ecc. Poi, se proprio volete farvi del male, pure il sottoscritto ha scritto qualcosina in dialetto ed è in libreria: un solo volume (solo quello potevo osare) che si chiama “Si cunta, si cuntau”. Alla prossima e viva il dialetto!

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