SPAZIO BARBARO: I RUNNER DI CASA NOSTRA
Le scorribande del nostro Nanni Barbaro sul lungomare
di Nanni Barbaro - 02 luglio 2024 13:09
Da ora in poi mi riprometto di andare più spesso sul Lungomare Falcomatà, non tanto per il panorama, che qui ormai tutti sappiamo a memoria. Nemmeno per la Fata Morgana, alla quale tutti affermano di aver assistito. Io, al massimo, potrei supporre di averlo fatto una volta ma non esattamente con le caratteristiche che da sempre sono date per certe ed inoppugnabili. Alcuni hanno addirittura parlato non solo di macchine circolanti perfettamente visibili, a Messina, ma anche di insegne di negozi e di segnali stradali.
E’ evidente che è una esagerazione, che peraltro ridurrebbe virtualmente la lunghezza del Ponte dai 3.300 metri a poco più di 300: praticamente una passerella, un ponte su un fiume di modesta ampiezza. Dicono sia il desiderio segreto di Salvini e di molti ingegneri che devono dire che il ponte è fattibile per guadagnarsi la pagnotta ma che in fondo in fondo lo sanno bene che è una follia.
Io mi accontento di cose più visibili e tangibili e, eziandio, molto più affascinanti delle fantasie pontifere: Per esempio i runner del lungomare. Tranquilli, traduco subito a beneficio dei quattro o cinque che ancora non conoscessero il significato della parola: “coloro che corrono”, o camminano a passo spedito, per far ginnastica, tenersi in forma o magari sostenere dura lotta con la glicemia che non ne vuol sapere di scendere o la pressione che non ne vuol sapere di salire. Minchia, figghioli! Ma ci avete mai fatto caso a questo sciame che transita ambo i sensi (e i sessi) sul largo marciapiede pedonale del più bel chilometro d’Italia (vabbè, qualcuno ha detto pure “il più lungo” ma non perdiamoci nei dettagli)? Vi siete mai presi la briga di individuarne le tipologie (e le sintomatologie, ma ne parliamo dopo)? Che spettacolo!
Dieci minuti di attenta osservazione e ti vedi sfilare sotto gli occhi un campionario umano che va dalle visioni infernali di Brueghel ai leziosi figurini di Peynet. Ma non perdiamoci in divagazioni estetiche e andiamo al sodo. Le categorie che elenco non vanno in ordine di importanza ma in quella di apparizione. Un “tipo” è, per esempio, potrebbe essere definito “prototipo Dorando Petri”: un ultrasettantenne con scarpe da ginnastica e calzettoni, gambe magrissime, che avanza quasi arrancando, ciondolando disperatamente la testa e stringendo i denti come se stesse per accacciarsi per sempre, in attesa di qualche passante misericordioso che lo sostenga per le ascelle prima di arrivare al traguardo della bancarella dei merletti lato sud e lì spirare.
Altro tipo è l’omone robusto e alto, con occhiali da sole per avere più carisma e sintomatico mistero, con bermuda da ciclista e polo da garage, che avanza con passo marziale al centro della pista tenendo alte le spalle e muovendo le braccia quel tanto che è loro consentito da antiche artrosi da scrivania. Lo sguardo austero e concentrato è per far credere che stia correndo a velocità sostenuta ma in realtà sta marciando con chilometraggio di appena tre decimi superiore di uno che si appresta a entrare al Cordon a prendere un caffè. Poi arriva zompettando la signora di mezza età col cappellino fatto di sola visiera e fascia, anche lei con occhiali da sole, non necessariamente per questioni di carisma, che più che correre sobbalza ad una velocità di crociera che le consentirebbe di percorrere un tratto di cinquecento metri prima del tramonto.
Beffarda e sfrontata, invece, sfreccia la cavallina ventenne, max venticinque, con cappellino intero dietro il quale spunta un’allegra coda di capelli che ondeggia con perfetto ritmo, cuffie alle orecchie, sguardo serio e concentrato, mirabile esposizione di terga che distrae dai pensieri mesti i vecchietti sulle panchine, che in venti secondi va da Cesare fino a quasi l’Arena. Poi, mooolto più lentamente, appare all’orizzonte, vicino alla ringhiera, per avere un appoggio in caso di sincope, l’ultra ottantenne “vorrei ma non posso” che cerca di mimare passi di corsa ma in realtà è poco più che una camminata solerte per quel che si può, come si fa nelle corsie di geriatria quando l’infermiera chiama dall’astanteria per misurargli la pressione.
Poi finalmente tocca all’atleta perfetto, che sembra essere uscito un attimo dalla Maratona di New York per concedere con degnazione una sua breve e solenne apparizione a quella pletora di penosi ansimanti, che corre quasi sfiorando il terreno, eretto e fiero, risolutamente deciso a coprire in dieci minuti il tragitto Lungomare Reggio – lungomare Cannitello in venti minuti. Probabile che si fermi, per tachicardia galoppante, dietro l’ultima colonna della tettoia della stazione Lido, per non farsi vedere, con mezzo metro di lingua penzoloni, ma il suo passaggio incute veramente timore e qualche tentativo di emulazione prontamente scoraggiato da parenti che attendono pazientemente in panchina la conclusione della performance dei loro cari. Non possono mancare quelli che uniscono l’utile al dilettevole marciando e facendo telefonate di lavoro al cellulare. Ci sono di quelli che proprio per urgenze lavorative devono rientrare immediatamente e deviano bruscamente verso la strada. La attraversano salvandosi miracolosamente da due macchine che camminavano affiancate e uno scooter che le stava sorpassando. Segue reciproco scambio di quattro vaffanculo all’unisono.
E passiamo alla categoria de trentenni che più che correre sembrano afflitti da una grave sindrome da tic compulsivi concomitanti: nel senso che mentre zampettano torcono il collo per disincrostare la cervicale, sollevano prima una spalla poi un’altra per rinforzare cuffie omerali e clavicole, danno sculettate, si palpano la coscia non si sa se per dissimulare crampi lancinanti o per verificare se il muscolo sia cresciuto di qualche decimo di millimetro visto che probabilmente corrono da parecchio (non si sa se da quattro vasche sul lungomare o sono partiti dall’aeroporto) .
Altra categoria sublime è quella che viaggia in squadriglia. Molto tipiche le tre o quattro casalinghe (o impiegate in ferie o pensionate fresche) che avanzano a passo spedito, infagottate in tute troppo larghe o bermuda troppo strette, che camminando si raccontano i fatti di casa loro o micidiali maldicenze su colleghi. Muovono vigorosamente anche le braccia ma non per accompagnare la marcia bensì per dare più forza mimica agli argomenti in questione. Sono le categorie che più preferisco perché coniugano attività fisica a spirito di socializzazione.
L’unica categoria della quale sospetto alquanto è quella che fa pit stop per lo streching. Ne ho visti alcuni stare per li per ore, con una gamba stesa sulla ringhiera, a rimirar lo mare, che secondo me hanno trovato il sistema giusto per far credere di esser parte dell’esercito di salutisti ma in realtà si stanno sottoponendo a una silente ed eroica tortura per salvare la faccia. A una cert’ora della notte ci sarà sicuramente qualcuno che li verrà a prelevare con la sedia a rotelle e torneranno a casa con la gamba atrofizzata e deliri mistici. Giù, in spiaggia, si sono pure le signore che camminano in acqua, ad altezza ginocchio, che se sono in compagnia possono attaccare bottoni allucinanti che le possono condurre a loro insaputa fino a Lazzaro. Se son da sole le vedi girare uno sguardo implorante verso la spiaggia come a dire: “me lo ha consigliato il medico ma, vi prego, riprendetemi con voi sulla terraferma”. E si, vale proprio la pena andare più spesso sul più bel e sul più lungo chilometro d’Italia