Il grande inganno: Reggio divisa per non cambiare mai
Le stesse mani che oggi invocano il riscatto del Museo e dell’Aeroporto, ieri ne decretavano la fine. Un dualismo tossico che alimenta lo scontro e paralizza la città.
di Francesco Nicolò - 01 novembre 2025 13:48
C’è una città, Reggio Calabria, che da decenni vive sospesa tra i sogni irrealizzati e le opere mai compiute. Una città dove ogni progetto diventa un’arma ideologica, ogni cantiere un campo di battaglia, ogni dichiarazione un colpo basso. Qui la politica non costruisce: demolisce, divide, esaspera.
Prendiamo l’esempio del Ponte sullo Stretto, l’opera simbolo del contrasto eterno tra destra e sinistra. Oggi, come ieri, la destra lo sventola come emblema di progresso e orgoglio nazionale. Dall’altra parte, la sinistra lo descrive come un abisso di cemento, un fallimento annunciato, l’ennesimo spreco di risorse pubbliche. Ma dietro gli slogan resta una certezza: il Ponte è diventato l’inno all’insuccesso, il simbolo della nostra incapacità politica di convergere verso qualcosa di utile, concreto, condiviso.
La questione Ponte "si" ponte "no" è solo l'ultimo dejavu. Il Museo del Mare, il Waterfront, oggi vengono oggi incensati come opere di riscatto culturale, di visione, di rinascita. Ma chi oggi li esalta, ieri ne ostacolava la realizzazione. L’opposizione si è fatta promotrice di ciò che un tempo definiva “inutile”, e la maggioranza si è appropriata di idee che non le appartenevano. È il solito gioco delle parti, la politica delle convenienze che cambia pelle a seconda del vento mediatico. Certo anche questo è stato detto!. Le opere pubbliche non sono più strumenti di crescita, ma trofei da brandire per screditare l’avversario. Opere spesso senza senso utili per drenare somme pubbliche per ottenere consensi a che il più delle volte creano mostri e disvalore.
E poi ci sono i "paradossi etici ", si parla di partecipazione, si evocano consulte e circoscrizioni da ricostruire, ma solo se controllabili. I cittadini vengono chiamati a partecipare, ma a condizione che restino spettatori silenziosi. Gli istituti di partecipazione esistono solo su carta, come scenografia per un film che non si gira mai. Nessuno li vuole davvero, a meno che non servano a consolidare un piccolo potere locale ed essere una utile scenografia o ancora peggio una voce per mutilare i cittadini.
E come non citare il destino dell’Aeroporto Tito Minniti, gettato in pasto al gestore unico regionale proprio da quella parte politica che oggi ne chiede conto e pretende tutele e urla l'abbandono della ex compagnia di bandiera, mai protetta concretamente. È l’ennesimo esempio del dualismo ipocrita che regge la scena pubblica: tutto sbagliato ieri, tutto giusto oggi — o viceversa. L’importante è cambiare narrazione, mai posizione. Un teatrino dove gli attori recitano ruoli invertiti, ma il copione è sempre lo stesso: seminare odio, dividere gli elettori, spingere la gente a tifare invece che ragionare.
Intanto, il 60% dei cittadini "non fidelizzati", stanchi, disillusi, viene messo ai margini. Non vota, e va bene così. A chi governa e a chi finge di opporsi, conviene un popolo assente: perché chi non partecipa non disturba, non pretende, non cambia. La vera maggioranza è il silenzio, e su quel silenzio la politica reggina costruisce la sua stabilità apparente.
In questo clima, lo scontro non è un incidente: è un metodo. Deve rimanere "perpetuo", perché solo nella rissa permanente tutto resta com’è. Maggioranza e opposizione siedono nella stessa stanza, fingendo di combattersi, ma consapevoli che nessuno deve davvero vincere. Perché vincere significherebbe cambiare qualcosa, e cambiare — qui — è la più grande minaccia allo status quo.
E così Reggio continua a oscillare tra promesse e macerie, tra progetti annunciati e cantieri infiniti, tra un futuro evocato e un presente mai risolto.
Un Ponte, un Museo, un Waterfront, un Aeroporto, la SS106, Il turismo, il Mare il Sole, la Montagna: nomi diversi per lo stesso destino.
Un teatro di ombre dove il sipario non cala mai, perché la commedia dello scontro deve continuare — all’infinito.
Un teatro che si sta svuotando degli spettatori paganti: i giovani che non sono disposti a farsi ingannare, e viene riempito da illusioni e da un pubblico di omaggiati che applaude a forza e che riesce ancora a galleggiare in questo mare pieno di merda.