Quando l'evento copre il degrado: il paradosso culturale
C'è una retorica pericolosa che confonde "fare cultura" con "fare eventi culturali"
di Elisabetta Marcianò - 24 agosto 2025 11:13
Fare cultura non significa semplicemente stendere un tappeto rosso per il grande artista di turno, organizzare una mostra "imperdibile" o allestire eventi che riempiono i comunicati stampa. Fare cultura è un atto di coerenza civile, è creare un ecosistema che renda l’esperienza culturale qualcosa di autentico, vissuto, condiviso. E questo, spiace dirlo, non si ottiene con due manifesti e una conferenza stampa, ma con una città che funzioni, che accolga, che sia parte viva del messaggio culturale.
Perché possiamo anche ospitare Picasso, ma se lo mettiamo in uno scantinato male illuminato, dove l’umidità corrode le pareti e i visitatori inciampano tra sacchi dell’immondizia e marciapiedi sconnessi, allora non stiamo facendo cultura: stiamo solo spuntando una casella nel calendario eventi. Possiamo anche portare l’Aida, con tutta la potenza della sua musica e l’imponenza del suo allestimento, ma se a pochi metri dal teatro regna il degrado urbano, con bagni pubblici chiusi, trasporti inesistenti e un senso generale di abbandono, allora tanto vale inscenarla in una discarica. Il risultato simbolico sarebbe lo stesso.
C'è una retorica pericolosa che confonde "fare cultura" con "fare eventi culturali". Ma la cultura non si fa a compartimenti stagni. Non è un interruttore che si accende solo quando arriva il VIP o si inaugura la mostra con le autorità in prima fila. La cultura è un processo costante, che parte dal basso, dal decoro urbano, dalla pulizia delle strade, dai mezzi che funzionano, dai musei aperti con personale formato, dalle scuole coinvolte, dagli spazi accessibili a tutti.
Se inviti il mondo a guardare i tuoi tesori, ma li fai passare tra le buche, i rifiuti e l’indifferenza, stai tradendo il messaggio stesso della cultura. È come servire champagne in un bicchiere di plastica sporco: chi lo beve sentirà più l’odore del contenitore che il gusto della bevanda.
Eppure, si continua a pensare che basti un grande nome per riqualificare tutto: l’artista noto come maquillage urbanistico, l’evento internazionale come deodorante per il degrado. Ma sotto quella patina, resta tutto com’era. Sporco, trascurato, respingente.
Chi fa cultura davvero, lo sa: non serve solo la qualità dell’opera, serve anche la dignità del contesto. Perché la bellezza non può brillare nell’abbandono. E se davvero vogliamo che la cultura cambi le città, allora le città devono essere pronte a cambiare per accoglierla. Altrimenti restiamo con Picasso nello scantinato e Aida tra i rifiuti. E questo, più che cultura, è solo una triste farsa.